1. Cor et cerebrum

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«Quando ti ho visto per la prima volta mi sono innamorata e tu hai sorriso, perché lo sapevi.»

I battiti del cuore hanno scandito le vite di tutti coloro che esistevano, esistono o esisteranno. Possono variare a seconda della difficoltà che un individuo è costretto a compiere, basta immaginarsi la velocità delle pulsazioni del cuore di un maratoneta, dopo che ha appena tagliato il traguardo.
Di cuore, però, non sono muniti tutti gli esseri viventi che abitano e contribuiscono al gracile ecosistema che è la Terra, infatti, molti di questi organismi ne fanno volentieri a meno, l'esempio più banale del mondo? Le piante, e gran parte degli invertebrati.

È per questo, forse, che mentre mi trovo nel mio letto e conto gli inesorabili minuti che mancano al suono della sveglia, desidero essere una pianta. Mentre non riesco a fare affidamento sulle pulsazioni del motore che il mio corpo possiede - anche se, io un vegetale sono vicina ad esserlo, mi manca solo il non sentire più i battiti ad mi animarmi il petto.

Il cuore desidero strapparmelo via, ché tanto il suo lavoro non lo sta facendo: è euforico, frenetico e impreciso, si perde i battiti e li recupera aumentando la velocità, peggiorando solamente la mia respirazione, il cervello non ragiona più - e come potrebbe, se mi trovo nel bel mezzo del mio attacco di panico mattutino?  Ormai sembra che batta più veloce di quanto faccia l'arnese difettoso e arrugginito che mi spacciano come cuore sano.

E allora, non pensare, anzi no, aspetta - com'è  che avevano detto? Era respira, espira, e pensa a qualcosa di bello.

Così, i polmoni mi si aprono tanto che ho paura di sfracassarmi la precaria cassa toracica che sento sempre più stretta; mi rigenero, ignorando il cuore che perde un altro battito, e così espiro, svuotandomi. Penso alla mia baia, al mio paradiso, risento l'odore del mare, mi calmo e mi rendo conto di aver chiuso gli occhi. Quando li apro, mi ritrovo davanti le pareti dalla camera che mi ospita da tutta la mia vita - non per mia scelta, ma non è che ci sia davvero qualcosa di mio, nella mia vita.

La sveglia suona dalla stanza dei miei genitori, e io fingo di stare ancora dormendo, permettendo a mia madre di comportarsi come la donna perfetta che vuole apparire anche agli occhi della sua stessa figlia. Faccio appena in tempo a ristendermi sul materasso, che la porta si spalanca.
«Tesoro, svegliati» la voce è di una dolcezza smielata, calcolata, e io non faccio in tempo a rendermi conto che dovrò ricominciare a fingere, che lei già mi ha agguantato il corpo che, grazie a dio, è per lo meno coperto dalle lenzuola, impedendo ai nostri corpi di essere totalmente a contatto. Mi abbraccia, mi irrigidisco, mi bacia, e faccio finta di essermi appena svegliata. «Mi alzo» biascico come se non mi fossi appena liberata del panico che ancora sento nascosto da qualche parte, come se non volessi scrollarmela di dosso il più velocemente possibile.

Mi dice ancora qualcosa, e io aspetto di sentire il rumore della porta che si richiude, per lasciarmi sfuggire le due lacrime che mi si erano annidate negli occhi, ché - per quanto strano sia - preferirei essere vittima dell'ennesimo attacco, piuttosto che alzarmi da questo letto.
E allora sbuffo, mi giro e rigiro, e poi mi alzo, non volendo che la donna che mi ha messo al mondo, venga a chiamarmi nuovamente, non risparmiando il contatto fisico che non riesco a ricevere.

Apro l'armadio, e la voglia che ho di sprofondare nel nulla aumenta soltanto, quando mi trovo davanti i vestiti domenicali che ha scelto per me. Li ignoro, prendendo dei jeans e indosso una camicia a fantasia. Mi pettino i capelli davanti allo specchio, raccolgo due ciocche e le lego dietro alla testa, sapendo quanto sarebbe capace di lamentarsi solo per i miei capelli in disordine. Prendo lo zaino, ed esco dalla camera, vado in bagno, lavo i denti e metto il burro di cacao - lo so, un elenco monotono e noioso di azioni abitudinali per niente interessanti, ma la mia vita è questo.

𝘚𝘢𝘭𝘵𝘺 𝘚𝘬𝘪𝘯 ʰˢDove le storie prendono vita. Scoprilo ora