10. Morte dell'anima

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«I don't care if I don't know you, I'll stay here

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«I don't care if I don't know you, I'll stay here.»

༄ |Selena's POV.

Non è che io sia nata con uno strato appiccicoso di panico cucito addosso, magari più che predisposta all'ansia, ma il panico è essenzialmente frutto della pressione che non ho mai imparato a gestire.
Ai miei occhi, il minimo ostacolo pare una montagna che non ho le forze di sormontare, e quindi tutto ciò che ho da fare è sedermi e osservare inerme i miei limiti, rimanendo nella comfort zone che mi sta stretta ma che non riesco ad abbandonare.

Il peso sul mio petto è essenzialmente costruito dai tanti piccoli granelli di sabbia che si sono accumulati sulla superficie della mia cute e che il mio cervello pare percepire ancora tutti, anche se essi non ci sono.
Il fiato mi manca alla minima occasione possibile, forse perché ad ogni occasione io cerco qualcosa per cui preoccuparmi.
Svegliarmi in preda al panico non è neanche più preoccupante, ormai è solo estenuante, e passare le notti a rigirarsi tra le lenzuola dilania le mie capacità psichiche.

Mia madre è sempre stata un po' fredda, distaccata se non per i suoi interessi, ma le parole che mi ha rivolto questa sera me le sento cucite addosso senza anestesia e con un ago passato nel fuoco. Io non lo so cosa le sia preso, non lo so come abbia potuto pronunciare queste parole a cuor leggero, ma so per certo che per lei tutto questo non ha una reale importanza, so che se mi vedesse piangere adesso mi darebbe della patetica e mi costringerebbe a sistemarmi, e sono assolutamente certa che per lei domani tutto sarà tornato alla normalità.

Ma non è così per me, ché io mi sento il cuore che manca i battiti e quando li compie regolarmente mi fa rimpiangere la sua dimenticanza, a causa del dolore che essi mi provocano mentre sbattono imbizzarriti contro il peso di sabbia che mi schiaccia il petto quasi a fracassarmi la cassa toracica e farmi collassare gli organi vitali - e a quel punto il peso diventerebbe il punto forte alla fine della mia vita tormentata da me stessa.

I miei mali vengono cuciti dalle mie mani, sono io ad esseremi oggettificata, ad aver buttato la mia anima in un angolino lontano del mio cervello e ad averla nascosta dal mondo. È colpa mia aver visto le mani altrui come delle armi pronte a ferirmi, ed è colpa mia se mentre guardo la mia espressione riflessa nell'acqua mi ripeto le parole riprovevoli che mia ha rivolto colei che mi ha ospitato nel ventre per nove mesi.
E questo non significa che io comprenda o condivida le sue parole, vuol dire solo che non ho le palle per dissentire, che la diga che ho costruito davanti alle mie emozioni è troppo fortificata. O almeno lo era.

È che io ci provo ma non capisco e non ci sono neanche abituata. A cercare lo sguardo di una persona, sorridere inconsapevolmente o anche solo arrossire. Io non ci sono abituata perché in sedici anni di vita la gente mi ha sempre rivolto parole che io tutt'ora non comprendo, quindi come posso pretendere di sapere come comportarmi con lui? Io che non so neanche cosa desidero, io che non voglio scoprirlo.

𝘚𝘢𝘭𝘵𝘺 𝘚𝘬𝘪𝘯 ʰˢDove le storie prendono vita. Scoprilo ora