Ad aprire la porta era stata zia Petunia, che dopo aver passato lo sguardo acido da me a Pansy, aveva fatto un passo indietro, facendoci entrare con un sospiro. Il corridoio era freddo e buio, e dal silenzio che aleggiava nell'ingresso, capii che non c'era nessuno in casa oltre lei.
La precedetti verso il salotto, sedendomi sul divano, e facendo segno a Pan di fare lo stesso.
"Cosa ci fate qui?" Fu la prima cosa che la donna ci chiese, seguendoci.
Mi sarei aspettato qualcosa di più cattivo o violento, ma in realtà nel suo tono di voce percepivo soltanto stanchezza. Alzai gli occhi per guardarla; non sembrava al massimo della forma. In realtà non credevo di averla mai vista così poco curata: con i capelli sfibrati e raccolti in una scombinata crocchia, i vestiti stropicciati e la vestaglia di flanella stretta in vita. Per un secondo quasi mi fece pena.
"Voglio tutti i documenti che avete su di me. Certificato di nascita, le carte dell'orfanotrofio, quelle che attestano che avete lasciato la mia tutela... voglio tutto." Fu Pansy a parlare, raddrizzando le spalle e affrontando la donna di petto. "E voglio anche quelli di Harry." Disse poi, fermamente. Per un secondo la guardai, provando a capire che cosa stesse pensando. Quando le avevo detto che sarei andato a casa degli zii, lei mi aveva pregato di accompagnarmi, ed io non avevo potuto rinunciare. Aveva diritto di vederli, proprio come me.
Certo non mi sarei aspettato che avesse qualcosa da chiedergli, piuttosto credevo sarebbe venuta soltanto per insultarli e riversare su di loro il suo rancore.
Zia Petunia sembrò farsi ancora più piccola, ma annuì impercettibilmente, come se si fosse aspettata da tempo la richiesta della più piccola.
"Dovrei avere tutto di sopra. Datemi cinque minuti per cercare." Sospirò, alzandosi.
Non aspettò neppure che rispondessimo, avviandosi su per le scale. Presi Pansy per il polso.
"Perché vuoi quei documenti?" Le chiesi a bassa voce. Lei si strinse nelle spalle.
"Non voglio che ci sia niente che ci lega a questa famiglia." Rispose con assoluta certezza. Tanta da mettermi a tacere, indeciso su cosa rispondere. Per qualche secondo mi limitai a tenere la mia mano appoggiata al suo polso, come se il solo gesto fosse bastato a dirle quello che non riuscivo a comunicare a voce alta, poi però sospirai.
"Sei sicura che ti vada bene così?" Le domandai.
"Sono sicura di non voler tornare più in questa casa. E sono ancora più sicura di non volere che ci torni tu." Rispose lei, ancora più convinta. In quel momento i due anni di differenza che c'erano tra noi si sentirono tutti, e capii che cosa significava avere una sorella maggiore.
"Ci sono un mucchio di cose che aggiusterei se potessi, ma per il momento mi basta allontanarti da questi coglioni." Continuò, poi, rivolgendomi un sorriso accennato.
Come avrei potuto darle torto? Anche io ero andato lì con la sola intenzione di chiudere tutti i ponti, tagliando ogni mio legame con loro -qualunque fosse- dicendo addio a quel passato che tanto avevo odiato.
Il rumore del portone che si apriva e si richiudeva, riecheggiò nell'ingresso, facendomi leggermente sobbalzare per la sorpresa. Pansy in automatico si spostò davanti a me, come se stesse tentando di proteggermi da chiunque stesse per entrare in salone.
Un secondo dopo, la figura imponente di mio cugino fece bella mostra di sé davanti a noi. Non aveva un aspetto dei migliori, e proprio come sua madre, sembrava privo di forze e disordinato.
Dopo mesi che non lo vedevo, mi sembrò persino sciupato, nei vestiti larghi e sformati.
"Harry?" Fece sorpreso, non appena entrò in salotto, e mi vide seduto sul divano.
Fu quasi come se Pansy avesse cominciato a ringhiare contro di lui, mentre le spalle le tremavano in modo strano, ma fui certo che non fosse nient'altro che una mia impressione.
Mi alzai e mi misi davanti al suo corpo, con la stessa intenzione di proteggerla che aveva avuto lei stessa, poco prima, nei miei confronti.
"Cosa ci fai qui a casa? Chi è lei? E dov'è la mamma?" Il modo in cui disse qui a casa, quasi come se fosse stata anche mia, per poco non mi fece scoppiare a ridere.
"Non credo tu sia nella posizione di farmi il terzo grado, DD." Pronunciai quel nome con disgusto e irritazione, facendolo vacillare per un istante.
Probabilmente stette per ribattere, ma sua madre lo interruppe, scendendo frettolosamente per le scale, con una cartellina alla mano.
"Duddy." Quasi urlò, cercando di fermare qualsiasi cosa il ragazzo stesse per fare. Lui si voltò nella sua direzione, socchiudendo gli occhi, rendendo le guance paffute ancor più visibili.
"Cosa ci fa lui qui? Perché lo hai fatto entrare?" Le chiese bruscamente.
Alzai gli occhi al cielo. Ero sempre stato indesiderato lì dentro, ma perché ad un tratto sembrava quasi come se fossi io il cattivo?
"Dovresti andare in camera tua, o tornare da dove sei venuto." Sospirò, invece la donna, cauta.
"Che diavolo significa?" Chiese, infatti, lui.
Il suo umore sembrava peggiorare istante dopo istante.
"Ho detto che dovresti andartene. Non farmelo ripetere due volte Dudley. Hai già creato troppi problemi a me e tuo padre, evita di peggiorare la situazione finché sei ancora in tempo." Fu la risposta della donna, così chiara e fredda da sorprendere anche me, mentre mio cugino sbatteva piano le palpebre, cercando di capire con quale sentimento sua madre gli stesse rivolgendo quelle parole. Dudley mi lanciò un'occhiata feroce, ma non osò avvicinarsi di un solo passo, arretrando invece su per le scale. Lo fissai fino a quando non sparì al piano di sopra, rilassandomi impercettibilmente.
"Sedetevi." Zia Petunia riacquistò un po' della sua iniziale severità, intimandoci con gli occhi di seguire il suo suggerimento. Guardai Pansy, chiedendole indirettamente di accontentarla.
"E' questo l'unico motivo che vi ha spinti a venire qui?" Chiese, quando fummo tutti di nuovo seduti, indicando con un cenno la cartellina che aveva tra le mani.
"In realtà no." Ammisi io. Lei annuì, così continuai. "Ho deciso di ritirare la denuncia." Dissi. Sia Pansy che zia Petunia si concentrarono in un attimo su di me: la prima sconvolta, la seconda speranzosa. Presi un respiro profondo e mi imposi di parlare nuovamente. "Non credere che sia perché provo pena per voi, o voglia farvi un favore. La ritiro solo perché non voglio più avere nulla a che fare con la vostra famiglia. Non avete rovinato solo la mia vita, ma anche quella di Pansy, e questo sarà un peccato del quale non potrete mai liberarvi." La accusai, puntandole il dito contro, anche se il mio tono di voce rimase pacato. "Avrei potuto rovinare la vostra vita come voi avete fatto con la nostra, ma sono certo che i nostri genitori non avrebbero voluto questo." Conclusi. Pansy mi strinse la mano, con forza.
Zia Petunia, invece, seduta rigidamente sul divano davanti al quale eravamo seduti noi, era rimasta senza parole, e si limitava a guardarmi, con gli occhi lucidi.
Era probabilmente la prima volta che le vedevo un'espressione umana sul viso tirato, e se il mio cuore non fosse stato smosso da tanto odio e tristezza nei suoi confronti, avrei persino provato pena per lei in quel momento.
"Non ho mai voluto che andasse in questo modo." Mormorò, sull'orlo delle lacrime.
Trattenni uno sbuffo infastidito.
"Tieniti il tuo piagnisteo, zia. Non abbiamo bisogno della tua pietà. Non adesso." Sputai io con rabbia. Aveva avuto un'intera vita per farsi scrupoli e tentare di redimersi con me, ma non aveva mai mosso un dito per venirmi incontro e darmi una vita quantomeno decente, quindi perché cominciare adesso? Lo stava facendo soltanto perché sapeva che non ne avrebbe più avuto la possibilità? Probabilmente voleva mantenere le apparenze, facendo credere sia a me che a Pansy di essere sempre stata una persona buona e dai sani principi.
Scossi la testa, ridacchiando, pieno di amarezza.
"Questa scenetta è durata anche troppo." Mi alzai, e prendendo la cartellina di documenti che mia zia aveva appoggiato sul tavolino basso al centro della stanza, trascinai mia sorella verso l'uscita.
STAI LEGGENDO
Surrender || Drarry (in revisione)
Fanfiction[...] Bloccai lo schermo e misi il cellulare in tasca, mettendo la mano sulla pistola. La sigaretta mi cadde dalle labbra e finì per terra. La lasciai dov'era, avviandomi verso la fonte del rumore. Non c'erano dubbi. Era stato uno sparo. [...] "No...