Lasciarsi un po'

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Questo è l'esatto momento in cui il mio cuore ha fatto crack per sempre. Per davvero.
La prima reazione che vivo è la rabbia e la frustrazione, sclero. Lo insulto, lo aggredisco di nuovo fisicamente. Lui resta in silenzio. Piange sommessamente. Io sono una furia. Lo caccio via. Non voglio vederlo mai più. Non esiste più.
Quando arriva Lazzaro sono in uno stato confusionale. Lui capisce subito che è successo qualcosa di grave e alla fine riesco a sfogarmi. Devo lavorare non posso sottrarmi al mio impegno. Trucco, ansiolitico e altre piccole accortezze mi permettono di registrare il programma. Finito il lavoro cado nella disperazione più profonda. Da un tratto lo odio, sono pieno di rabbia, siamo nel 2021 non nel Medioevo un bambino può crescere anche in una famiglia allargata, lui può essere padre presente anche senza un'unione di convenienza con lei. Questo discorso così "bigotto" mi fa venire voglia di cancellarlo dalla faccia della terra.
Dall'altro mi pento di averlo trattato così male. Mi manca. Ho bisogno di lui.
Salgo a Milano e vado a casa sua ma non c'è. Mentre esco dal cortile di casa incontro la madre. Ammazza che sfiga.
Inutile dire che facciamo scintille.
Non ha perso tempo ed ha di nuovo le chiavi di casa sua. Ovviamente finiamo per discutere a muso duro e fa leva sui miei sensi di colpa. Non la tollero ma la colpa è di lui che come sempre finisce in giochetti psicologici e sembra incapace di ribellarsi.
Chiamo amici a casa e mi ubriaco come se non ci fosse un domani. Devo spegnere il cervello, non voglio pensare.
Passa una settimana da quell'incontro in hotel a Roma, non hai mai risposto alle mie chiamate, ne ai miei messaggi.
Sono nero.
Scendo con Gilda per una passeggiata, passo davanti alla mia caffetteria preferita e chi ti trovo a parlare: lui e mia madre.
Mi stropiccio gli occhi a più riprese, voglio fingere sia un'allucinazione. Deve essere così.
Non è così, purtroppo.
Entro come una furia. Mi vede per prima lui, che si alza di scatto, sono sicuro che ha capito che sto per fare una scena madre.
"Ultimamente invece di parlare tra di noi parliamo con le mamme" dico subito arrivando al tavolo.
"Amore calmati per favore" mi accoglie subito mamma.
Gilda gli fa le feste, traditrice pure lei.
"Saliamo da te" mi dice sfatto.
Salutiamo mia madre.
Camminiamo vicini senza fiatare e questa cosa mi fa morire. Ho come l'impressione che non vogliamo rovinare questo precarissimo equilibrio nemmeno con un gesto in più o uno in meno, ma al tempo stesso siamo in un campo minato, tempo pochi minuti e succede la terza guerra mondiale.
Mentre saliamo le scale e Gilda si fa il suo percorso preferito, per il nervosismo mi cadono le chiavi ci inchiniamo entrambi ed io me lo trovo a troppi pochi centimetri da me per pensare a tutto il resto, ci baciamo.
Entriamo in casa avvinghiati come due polipi. "Anche lei ti fa quest'effetto???" ansimo "Dimmelo, dillo che vuoi me" gli chiedo tra i gemiti "questo non potrà cambiare mai" risponde lui portandomi all'apice.
Facciamo due volte l'amore e per la tenerezza e l'amarezza con cui lo facciamo capisco che è l'ultima volta. Mi sta lasciando.
Ed io credo che impazzirò.
Si alza fumando una sigaretta. Ed io lo osservo. Sono sicuro che dovremmo parlare. Dovremmo dirci milioni di cose. Ma le parole non possono più servire. Non avrebbero più senso. Lo guardo e cerco di memorizzare ogni singolo centimetro di lui. Ogni cosa. Sono sicuro che la visione che ho davanti ai miei occhi non la rivedrò mai più.
Mi alzo per mettere uno slip e fare un caffè e mi accorgo che anche lui mi guarda e mi guarda "come se fossi mia nonna" e chi sa, sa. "Ma che scena è?" 
"Perché… perché non possiamo esserci sia lei sia io" e vaffanculo devo parlare.
"Perché non credo sia possibile"
"Non vuoi, è diverso"
"Non è così. Ma cosa credi che sia facile. È una scelta atroce"
"Questa l'ho già sentita, in una casa di Cinecittà sotto le telecamere, fine novembre. Sappiamo benissimo com'è andata a finire, lo sa tutta Italia"
Sospira "la gravidanza non è facile, ha bisogno di me, abbiamo molta paura che non possa proseguire"
"Questo mi dispiace, puoi starle vicino lo stesso, non escludendo me. Posso capire. Posso fare un passo indietro. Posso accettare"
"Non sarebbe giusto. Non lo meriti. Tu meriti tutto ed io non sono neanche metà"
"Questi sono problemi miei, magari voglio un quarto ma mi basta che sia con te"
"Non posso. Mi sembra di scontentare sempre qualcuno. A volte temo di impazzire"
"Ti capisco. Perché sicuro hai fatto impazzire me. E comunque hai 39 anni tra poco ed io 26 non posso essere io a dirti che devi ribellarti ai ricatti morali"
"È mio figlio. Come faccio"
"Ed io sono il tuo uomo. Ma non sono mai abbastanza. Io per te non valgo la pena. Non la valevo tre mesi fa che ci siamo trovati. Non la valgo ora che siamo stati noi"
"Devo starle vicino. Deve funzionare. Non posso dividermi a metà. Non posso dare il massimo a nessuno così"
"I rapporti non si fanno funzionare, non sono macchine. I sentimenti o ci sono o non si costruiscono a tavolino"
"C'è di mezzo un bambino. C'è di mezzo la possibilità di perderlo. Devo renderla serena. Devo dedicarmi a lei"
"Accomodati pure. E buona fortuna. Per me non esisti più"
Se ne va, rivolgendomi un ultimo sguardo colmo di lacrime. Stavolta non è davanti una porta rossa in prima TV e paradossalmente fa anche più male. Perché è a casa e dopo che la mia vita si è legata indissolubilmente a lui. Stavolta non so se posso reggere.

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