Emergenze

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Non so perché mi si ferma il respiro. È la paura, certo.
Normale paura.
Chiedo spiegazioni, ma nessuno ne sa nulla, vado in panico. Rientro anche se dicono di non farlo. Riesco a parlare con un assistente di studio che conosco e che mi sembra tranquillo, mi dice che lo stanno medicando e che stanno valutando se occorre andare in ospedale. L'altra persona coinvolta sta bene, l'ambulanza è arrivata per valutare il suo caso.
Cerco di convincermi che non c'è nulla da temere. Tremo.
Alla fine non so bene perché, ma raggiungo il punto di soccorso all'interno degli studi e aspetto fuori quella porta, qualcuno entra qualcuno esce ho capito che ha chiesto di non avvisare nessuno del suo coinvolgimento.
La notizia dell'incidente si è già sparsa, ma sicuramente non faranno uscire il suo nome altrimenti la madre fa il culo a  tutti.
Esce un'operatrice del 118 lascia la porta semi aperta ed io non resisto alla tentazione di entrare.
Resto sull'uscio perché c'è dentro un medico e lui è disteso sulla barella.
Santo cielo ho la tachicardia, il raziocinio mi dice scappa, il mio cuore sta per esplodere.
Sento il dottore dire che deve andare in ospedale perché sono opportuni degli esami specifici, lui credo si lamenti e poi annuisce. Mi vede e fa per alzarsi ma poi si distende di nuovo.
Da quel momento in poi i suoi occhi non mi lasciano mai.
Non so perché ma mi ritrovo a pregare che non sia nulla di grave. Io a pregare. E poi mi ricordo che anche un'altra volta nella mia vita ho pregato, circa tre anni e mezzo prima, quando in ospedale c'era lei incinta di suo figlio.
Il medico si accorge della mia presenza e mi chiede se sono qualcuno di famiglia o un assistente, io dico un amico e gli chiedo di poter salire sull'ambulanza con loro.
Lui non vuole.
Ma io sono convincente soprattutto con il medico che deve dare il consenso, ignoro le sue deboli proteste, e vado con lui in ospedale.
Non sta succedendo nulla.
Non sta succedendo nulla di anomalo. Anzi. È un amico.
È un amico e lo avrei fatto con chiunque, sono solo preoccupato. Mi sincero delle sue condizioni e torno alla mia vita. Tutto tranquillo.
È normale che in questo momento sia preoccupato, sono ipocondriaco, è normale che sia agitato e ho il cervello che non riesce a formulare un pensiero dico uno, che sia chiaro.
È tutto normale.
Attendo per ore in una sala d'aspetto e l'ansia comincia a pervadermi.
Faccio un giro di telefonate per rassicurare tutti perché ho ricevuto tremila messaggi. Anche il mio agente mi chiede chi sia rimasto coinvolto nell'incidente ma io glisso.
Sui social le notizie volano ma fortunatamente si parla genericamente di "operatore TV" senza fare nomi.
Mi chiama anche Andrea preoccupatissimo ed io lo rassicuro. Andrea non ci metterà molto a scoprire cosa è realmente successo, in fondo questo è anche il suo ambiente, ma glielo spiegherò con calma appena ci vedremo, ora a telefono mi sembra inappropriato.
Mi rendo conto che ho perso l'aereo e quindi mando qualche messaggio per riorganizzarmi.
Mentre sto mandando un vocale ad Andreuccio dicendogli che resto a Roma e che mi mancherà tanto sento un rumore alle mie spalle.
Mi volto ed è lui.
È accompagnato dal medico che in tre minuti si raccomanda tre volte l'assoluto riposo e di allertarlo per qualsiasi fenomeno strano. Poi guardandomi si raccomanda di non lasciarlo solo.
Lo rassicuro che non succederà ma ho già capito dal suo sguardo che non ha intenzione di seguire nessuna delle indicazioni mediche che ha ricevuto.
Mi hai appena dichiarato guerra, caro.
Ed io le guerre le combatto solo per vincerle.
Scendendo le scale per uscire fuori dall'ospedale mi dice frettolosamente che non è necessario che io mi rovini i piani per lui e che posso provare a tornare a Milano, lui si arrangerà.
Neanche gli rispondo.
No, non merita risposta.
Chiamo un taxi e solo ora ripenso ad una cosa strana. Ho il suo cellulare. Me l'hanno dato mentre salivo in ambulanza. Mi tornerà utile penso sorridendo.
"Oh cazzo ma io non ho il telefono" realizza lui.
Io resto ancora silente e lo guardo di sottecchi e se non fosse che la situazione è delicata mi verrebbe pure da ridere lui se ne accorge e infatti accenna un sorriso.
"Quando hai intenzione di ridarmi il cellulare?"
"Dopo che saremo andati a casa. Forse"
"Quale casa?"
"La mia, qui a Roma, quella che uso quando mi fermo per più tempo"
"Ma io…"
"Ma tu farai esattamente quello che ha detto il medico"
Arriva il taxi. Saliamo e lui si accascia al sediolino. Non credo sia in ottima forma, anzi.
Chiude gli occhi ed io realizzo che lo sto guardando troppo e che ho la sua mano troppo vicino perché ho la fortissima tentazione di accarezzargliela.
Tossisco per tornare in me e lui sobbalza.
"Devo chiamare casa" mi dice con tono persuasorio facendo anche il broncio con il labbro.
"A casa ti concedo la telefonata. Comunque stai tranquillo  il tuo agente ha già rassicurato le tue persone, nessuno sa che sei tu quello coinvolto nell'incidente"
"Grazie"
Si accosta di nuovo al sediolino e chiude gli occhi, credo che si senta davvero poco bene e mi si stringe il cuore.
Stavolta la sua mano è vicina alla mia, ci sfioriamo, poi comincio ad accarezzargliela e lui sorride nonostante abbia gli occhi chiusi ed io ho una fitta al cuore.
Per un attimo chiudo gli occhi anche io e mi sembra di tornare indietro nel tempo.
Tommaso smettila è l'unica frase sensata che sembra partorire la mia mente poco dopo.

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