EPILOGO

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Mi è sempre piaciuta la primavera in particolar modo quando la passavo a Windsburg. Nei pomeriggi al cimitero osservavo gli alberi tingersi giorno dopo giorno di un verde sempre più intenso. Dalle sterpaglie che crescevano dagli angoli delle tombe sbucavano dei fiorellini colorati che in qualche modo mi mettevano di buon umore.

La vita nonostante le condizioni avverse. Era questo che simboleggiava per me. Mi incoraggiava ad andare avanti, a proseguire per la mia strada nonostante le intemperie della vita. Nonostante i momenti di sconforto e di abbandono.

Da quando abito a New York invece, la primavera ha assunto un valore diverso per me. Sarà che non lavoro più in un cimitero e che il mio tempo libero si è ridotto drasticamente eppure non riesco più a ritrovare la stessa valenza. La primavera era uno dei momenti dell'anno che attendevo con più impazienza, adesso invece ricordo a malapena che siamo già al solstizio.
Ho cercato un posto che mi riportasse, almeno sentimentalmente, alle emozioni che provavo nella mia città natale, ma con scarsi risultati. L'unico posto in cui mi sono sentita allineata col mondo è Central Park, dove la vista di bambini e animali di ogni tipo mi ha fatto spuntare sempre un sorriso. Comunque per poter passeggiare a Central Park dovrò aspettare almeno un'ora, giusto il tempo di finire il mio turno di lavoro.

"Wilson! Dovresti essere al pronto soccorso, veloce!", sussulto non appena sento la voce del Primario di Pediatria, il Dottor Robert Cox.
"Sto aspettando delle analisi per la Dottoressa Montgomery" specifico velocemente per evitare incomprensioni.
L'uomo, che in tutti questi mesi non ha mai speso una parola positiva su di me, mi guarda calando leggermente le lenti che porta sul naso. È ovvio che in questo momento stia pensando a quanto fastidiosa e irritante possa essere, ma cerca di camuffarlo arricciando le labbra. Si avvicina al computer posto dietro il bancone della receptionist, dicita velocemente un paio di lettere e poi si accovaccia per avvicinarsi meglio allo schermo.

"Con Carla ci dovrebbe essere un altro specializzando, non tu, perciò ti voglio immediatamente al tuo reparto!" tuona facendo gonfiare le vene del collo. Deglutisco a fatica e mi limito ad annuire per evitare uno scontro verbale. Con la coda fra le gambe faccio dietrofront e mi avvio spedita verso l'altro lato della struttura. Chiamo l'ascensore pigiando ripetutamente il pulsante, un po' sperando che questo acceleri il suo meccanismo e un po' per sfogare la mia frustrazione. Negli ultimi anni ho capito che è sempre meglio esprimere la propria opinione, esporsi anche a rischio di non piacere agli altri, ma qui al lavoro non posso proprio permettermi di rendermi antipatica con i miei superiori. D'altronde sono solo una specializzanda e come tale, nella maggior parte dei casi, devo eseguire gli ordini.

Il ding acuto dell'ascensore mi riporta alla realtà e, non appena le porte in metallo si spalancando davanti ai miei occhi, faccio un balzo all'interno. Chino leggermente la testa posando il mio sguardo sulle scarpe da tennis ormai consumate.
Durante il mio periodo al college avevo iniziato ad apprezzare calzature più provocanti come un bel paio di décolleté indossate insieme ad un tubino, o comunque con un abito corto, magari al primo appuntamento; adesso mi sembra di non poter fare a meno di un paio di sneakers comode. Non indosso un paio di tacchi da mesi e credo che continuerò su questa scia ancora per molto. La mia vita sociale si è ridotta drasticamente e a parte Gwen, impegnata con il suo tirocinio da avvocato, non frequento molte persone. Dopo aver premuto il pulsante del mio piano, attendo impazientemente che le porte si richiudano. Batto il piede sulla moquet marroncina, mentre spero che nessun altro mi rimproveri per essere a zonzo fra i corridoi.

Le porte stanno per chiudersi quando, con uno scatto e in modo improvviso, una mano si insinua fra la sottile apertura che era rimasta. Entra nella cabita un uomo, vestito bene che tiene fra le braccia un cappotto elegante. Il suo arrivo è stato così veloce da non avermi nemmeno permesso di osservare il suo viso, nonostante ciò dal suo posteriore riesco a notare qualche dettaglio che mi fa rabbrividire.

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