40. Ricordi

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KYLE HAYNES.

In bilico.
È così che mi sento in questo preciso istante.
Sul filo di un rasoio.
Tutto intorno a me sembra essersi fermato. Il mio fiato rimane sospeso nell'aria per minuti interminabili ed in quella trepidante attesa non faccio altro che sperare che mio figlio giunga fin qui per salvarmi.

Sento il rumore dello sparo, sento il dolore attraversarmi la pelle. Mi brucia dall'interno, come se scavasse nelle mie viscere; la mia purtroppo non è solo una sensazione. Porto una mano sul fianco sinistro accorgendomi dell'enorme foro sul mio addome. Le dita si impregnano di quel liquido caldo, rossiccio e appicicoso che generalmente dovrebbe attraversare le vene del mio corpo, ma che ora si trova a macchiarmi i vestiti senza ritegno.

Potrei morire in questo momento e non avere la possibilità di redimermi.

Tremo.
Il mio corpo viene scosso da una infinita quantità di spasmi muscolari che non riesco a controllare. Forse ho le convulsioni o semplicemente mi sto rendendo conto di quanto sia fugace la vita. Fino a qualche mese fa andava tutto bene, mentre ora mi sembra di vivere in un film thriller.
Improvvisamente perdo tutte le forte che ho nel corpo. Le mie gambe cedono e cado per terra come un sacco. Batto il mento contro il terriccio secco del cimitero, ma il dolore che provo è niente se messo a confronto con l'inspiegabile patimento che provo nel basso ventre.

"Dovevi sparire come hai provato a fare in questi mesi..." sussurra con tremendo disgusto mio nipote Mike. Sento il respiro farsi sempre più affannoso mentre la gola si secca impedendomi di parlare. "Tuo figlio farà la tua stessa fine."
La pelle, sempre più pallida e fredda, torna a rivivere per una scia di brividi che la attraversa. Il pensiero che Axel possa soffrire, che possa stare male per colpa mia, mi manda su tutte le furie.

Steso per terra, privo di forze, racimolo tutte le poche energie che mi sono rimaste. Non so di preciso come ci riesco, ma mi alzo di scatto pronto a colpire il giovane ragazzo sul viso.
La forza della disperazione però non basta. Mike precede le mie mosse, blocca il mio pugno e mi colpisce sul punto più sensibile del mio corpo.
Un lamento esce dalle mie labbra accompagnato da uno spunto che sa solo di metallo amaro.

"M-Mike... tuo padre non vorrebbe tutto questo" riesco a dire a fatica, tra un lamento e un altro.
Il figlio della mia ex moglie ride con disprezzo. Si gratta la testa nervosamente mentre tutto intorno a me si fa sempre più scuro.
"Mio padre non ha avuto le palle per liberarsi di voi, ma ci ho pensato io fortunatamente."
"P-Perché?"
"Perché l'ho fatto?" si chiede avvicinandosi nuovamente a me. Poggia un piede sul mio torace e mi spinge verso il terreno, costringendomi ad assaporare il sapore del terriccio. "Per anni avete trattato me e mia madre come animali. Ci avete sempre fatto sentire di troppo, soprattutto quel vecchio bastardo."

Quando sento quelle parole sembra che il dolore allo stomaco aumenti a dismisura.

"Potevamo parlarne... avremmo trovato una soluzione" dico cercando di spingere via il suo piede.
"Secondo te non ci ho provato?!" urla. Finalmente mi libera dal suo peso permettendomi di recuperare un po' d'aria. "Quello stronzo di mio nonno non ne ha voluto sapere. Mi ha urlato contro dicendo che mia mamma è solo un'arrampicatrice sociale e che nessuno della sua famiglia meritava i suoi soldi, tantomeno me."

Ancora un'altra fitta.

"Quindi hai pensato bene di ucciderlo?" chiedo. Nel mio cuore spero ancora che i ragazzi siano in ascolto dall'altro lato della chiamata e che stiano raccogliendo prove sufficienti per incastrarlo.
"Ho dovuto farlo..." bisbiglia. Il suo sguardo si perde nel vuoto, in questo momento è come se fosse perso in una dimensione tutta sua. È come se non fosse più padrone di sé stesso. "Dovevo difendere l'onore di mia madre."

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