Il bene che dai

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Richie e Eddie furono gli ultimi ad arrivare in ospedale.
Eddie era stato avvisato degli eventi dalla zia Pat appena aveva messo piede in casa, alle cinque del mattino. Il ragazzino aveva fatto appena in tempo a chiamare indietro Richie, e senza un attimo di ripensamento si erano avviati entrambi verso l'ospedale, la mano di Eddie che fremeva di rabbia attorno a quella del compagno.
Non erano troppo preoccupati per Ben, Pat li aveva rassicurati che non era accaduto nulla di grave, ma il fatto che uno dei loro amici più cari fosse rimasto coinvolto nell'ennesimo colpo di testa di Bowers e Abbott aveva fatto saltare più di un nervo ai due ragazzi
Arrivarono in ospedale all'alba, i primi raggi del sole filtravano tra le persiane della camera di Ben, e tutti i Perdenti si voltarono a guardarli dalle loro posizioni attorno al letto.
I loro occhi, in particolare, si soffermarono sulle mani ancora unite di Eddie e Richie, ma i due non se ne accorsero neppure.
-Stai bene?- Chiesero a Ben, quasi all'unisono. Eddie allungò la mano libera per scostargli affettuosamente una ciocca di capelli.
L'amico annuì, con un piccolo sorriso, e spostò lo sguardo su Beverly, al suo fianco, prima di rispondere:-Benissimo.-
I due appena arrivati si rilassarono e si sistemarono sul davanzale della finestra, Richie seduto sulla superficie di marmo e Eddie in piedi tra le sue gambe, un gomito poggiato sul suo ginocchio penzolante.
Per un po' si parlò ancora delle condizioni mediche di Ben, del tempo che ci sarebbe voluto perché potesse tornarsene a casa. Gli amici lo riempirono di coccole, anche se erano lì già da ore, instancabilmente.
Beverly gli sistemò meglio il cuscino dietro la schiena, e intanto Stan prometteva di preparargli una teglia di lasagne. Richie sbuffò a quell'affermazione, e Rebecca guardò con sospetto la guancia di Eddie posata sulla sua gamba, e anche gli scambi di tenere occhiate tra Beverly e Ben. Bill fece la stessa cosa, ma intervenne solo per dire che l'avrebbe aiutato a recuperare tutto ciò che aveva perso in quella settimana di assenza e che avrebbe perso nei giorni a venire, e Susie si unì a quel piccolo gruppo di studio, subito seguita da Eddie.
Bryce, Melissa e Mike erano in un angolo più appartato, a parlottare tra loro. Eddie si accorse che i due ragazzi erano pallidi come cenci.
-Mike, Bryce, dateci un taglio.- Disse Ben ad un certo punto, bonariamente.-Vi ho già detto che è tutto a posto.-
Mike scosse il capo.-Non posso perdonarmelo...-
Melissa gli strinse un braccio attorno alla vita, mormorandogli ancora qualcosa all'orecchio, parole di rassicurazione, intanto che Bryce continuava a grattarsi la nuca, scusandosi con Ben.
-Perché, cos'è successo esattamente?- Intervenne Richie a quel punto, le sopracciglia aggrottate, dando voce anche ai dubbi di Eddie.
Piombò improvvisamente il silenzio; qualcuno distolse lo sguardo, altri si morsero le labbra.
-Forse sarebbe meglio che Eddie...- Rebecca fece un cenno non troppo palese verso la porta, e il ragazzino avvertì un brivido corrergli lungo la schiena.
Volevano tutti che lui non ascoltasse, e il motivo poteva essere uno solo: Josh e Henry avevano avuto davvero intenzione di ucciderlo, non si era trattato solo di un incidente, come aveva sperato, seppur poco convinto, nelle ultime settimane.
La mano di Richie si posò immediatamente sulla sua spalla, ferma, calda, e Eddie sollevò gli occhi su Mike e Bryce, sui loro volti cerei e muti.
-Potete parlare.- Rispose, prendendo un profondo respiro.-Sono forte abbastanza.-
Qualcuno attese che Richie si opponesse, che lo facesse rinsavire - anche Eddie, in realtà, aveva già sulla punta della lingua le proteste da muovere se il ragazzo l'avesse invitato ad andarsene, ma Richie non disse nulla. Lo tenne più vicino, avvolgendogli le braccia attorno alle spalle, e fece tutto meno male quando i Perdenti iniziarono a raccontare quel che era accaduto.
Le voci si accavallarono, ognuno aggiunse il proprio punto di vista, supposizioni. Bryce riferì quel che Josh e Herny gli avevano detto prima che Ben arrivasse, quel che aveva visto nel laboratorio, e Mike di quando era andato da lui per chiedere consiglio; Melissa non smise di tenergli la mano e Richie non smise sfregare le dita sulle braccia di Eddie.
Alla fine erano tutti pallidi in volto, arrabbiati, dispiaciuti, ma liberi.
Dopo tutte le disavventure, i Perdenti erano ancora uniti, e nei loro occhi si accesero delle scintille di complicità mentre si guardavano tutti, silenziosamente, da un capo all'altro della stanza.
Beverly accennò un sorriso timido e disse:-Sapete, una volta Ben mi ha detto che dal concerto, qualcosa è cambiato in ognuno di noi. Che non saremmo più stati le stesse persone.-
-Ed è vero.- Aggiunse il giovane annuendo, sistemandosi meglio tra i cuscini.-Non saremo mai più gli stessi, non dopo ciò che è accaduto, ma non è straordinario il fatto che riusciamo ancora a trovare un motivo per essere nella stessa stanza, tutti insieme?-
Quelle parole suscitarono una serie di piccoli abbracci e sorrisi; la furia, il dolore e ogni altra emozione negativa abbandonarono la camera, uscendo dalle stesse fessure da cui stava entrando sempre più forte la luce del sole.
Richie puntò un dito verso Beverly e Ben.-Vi siete fidanzati, vero? Quando pensavate di dircelo?-
Ben arrossì, e la ragazza rispose:-E tu e Eddie, quando pensavate di dircelo?-
-Beh, è successo solo qualche ora fa.- Ribatté il ragazzino.
-Sì, e andate già in giro tenendovi per mano e abbracciandovi come se nulla fosse.- Fece Stan, sedendosi sul letto libero con le braccia incrociate.-Senza neppure avvisare.-
-E rubando il nostro momento.- Scherzò Beverly.
-Rubando il mio momento.- Protestò Ben.-Sono io quello che dovrebbe ricevere tutte le attenzioni.-
Il sorriso si allargò, finalmente, anche sul volto di Mike.-Ti è stata già promessa una porzione di lasagne.-
-Sei invidioso?- Lo rimbeccò Stan.
Rebecca si strinse nelle spalle.-Potresti farle per tutti.-
-Vi invito a casa mia.- Disse Bryce tutto d'un tratto, attirando una stupita attenzione su di lui.-Appena Ben si sarà ripreso. Potremmo cenare tutti insieme.-
Beverly non permise che il silenzio scoraggiasse il suo buon cuore e la splendida proposta. A nome di tutti, rispose:-Non vediamo l'ora.-, e poco dopo anche gli altri Perdenti si unirono in un coro entusiasta.
Solo Susie parve non reagire con la stessa gioia degli altri - Stan se ne rese conto, suo malgrado, e il cuore gli si strinse, nonostante fosse ancora arrabbiato con lei.
Non si erano piú parlati, dal giorno in cui l'aveva cacciata dalla sua stanza. Stan aveva di sicuro avuto molto tempo per riflettere sulle parole di Beverly, sul perché Susie avesse commesso quelle azioni.
In parte la comprendeva, ma ancora non se la sentiva di perdonarla: aveva leso in un solo colpo la sua fiducia e il suo orgoglio, entrambi già poco stabili, ancor prima dell'ingresso di Susie nella sua vita.
Però, se adesso guardava Beverly e Ben, che avevano trovato il coraggio di affrontare ogni insicurezza per potersi trovare a metà strada in quel lungo percorso di guarigione, se vedeva Eddie cosí teneramente stretto tra le braccia di Richie, dopo che entrambi avevano perdonato e ricostruito sulle macerie, veniva da pensare anche a lui che riavvicinarsi a Susie fosse possibile. Che aveva la forza necessaria per riuscirci.
Certo, non era costretto. Non doveva scusarla, non doveva amarla. Ma non avrebbe impedito alle emozioni di andare nella direzione che desideravano, non avrebbe piantato massi sul loro cammino, e il suo cuore, in quel momento, gli stava dicendo di parlarle.
Dieci minuti dopo stavano uscendo quasi tutti dalla stanza per prendere un caffè al distributore automatico in corridoio.
Erano stanchi, occhiaie nere si stavano formando soprattutto sotto gli occhi di Eddie e Richie che, Stan sospettava, non avevano dormito neppure un po' prima di essere buttati giú dal letto dalla telefonata di Bryce.
Il ragazzo afferrò la manica della maglia di Susie prima che la ragazza si unisse agli altri attorno alla macchinetta, e lei si voltò, gli occhi nocciola un po' grandi per la sorpresa.
-Sí?- Disse, la voce che si spegneva mentre realizzava che era stato lui a fermarla.
A Stan dispiaceva che la sua presenza le causasse dolore. Sapeva di non essere la piú simpatica delle persone, talvolta risultava abrasivo con i suoi commenti, ma fare del male, quello era tutto un altro discorso. Era un senso di colpa che gli attanagliava lo stomaco.
-Come stai?- Le domandò, lasciando ricadere la mano.
Susie guardò per un istante la porta chiusa della camera di Ben, a pochi passi da loro.-Non sono io quella a cui hanno sparato.- Rispose, con un tono leggero, che voleva essere scherzoso, ma che vibrò comunque nell'aria come una scarica elettrica.
Stan valutò che Susie poteva essere arrabbiata. Perché l'aveva trattata con disprezzo, mandata via senza neppure darle la possibilità di spiegare, giustificarsi ulteriormente.
C'erano due cose che lei avrebbe voluto dirgli, il giorno in cui si era presentata di fronte alla sua finestra, e Stan aveva a stento permesso che ne confessasse una. Si trattava dei suoi sentimenti? Quegli stessi sentimenti che Beverly gli aveva pronosticato? Susie provava ancora qualcosa per lui? Aveva il diritto di essere infuriata, adesso, di odiarlo, nonostante quel che gli aveva fatto?
Stan non era in grado di stabilirlo, neppure lo voleva. Era stanco di cercare sempre la metà perfetta, il bianco o il nero. Talvolta le cose erano semplicemente grigie. Talvolta non aveva ragione nessuno.
-Non devi rispondermi per forza, se non vuoi parlarmi...-
-Cosa ti fa pensare che non lo voglia?- Replicò lei, schietta come al solito - come non lo era stata in quelle settimane in cui lo aveva fatto soffrire, portandolo a dubitare, a credere di non essere abbastanza.
Stan puntò gli occhi nei suoi.-Non si può dire che sia stata una rottura senza rabbia o dolore, la nostra.-
-Me ne assumo la responsabilità.-
Il giovane esitò.
Susie aveva una gran parte della colpa, ma Nick, che aveva abusato di lei, del suo nome, poteva davvero rimanerne fuori? E Stan stesso, che era stato cosí cieco di fronte ai suoi timori, poteva lavarsene totalmente le mani?
-Voglio solo sapere come stai.- Ripeté, infilando le mani nervose in tasca.-Non sono qui per farti la morale.-
Affermazione curiosa, da parte di Stan, che la morale la faceva a tutti. Persino Susie sollevò le sopracciglia, spaesata.
-Sono a posto, Stan, grazie.-
Il ragazzo arricciò il naso. Odiava che gli fosse cosí chiaro quando Susie mentiva. Sarebbe stato tutto molto piú semplice se fosse riuscito a crederle e l'avesse lasciata in mezzo a quel corridoio deserto per comprare un necessario caffè.
E forse Susie l'avrebbe meritato, ma lui non era Dio. Punire e vendicare non erano i suoi compiti.
-Ti ho vista spesso triste.- Replicò.-Spero che non sia ancora per quel che é accaduto tra noi.-
Susie si raddrizzò e si tese, una corda di violino.-É un modo carino per dirmi che non hai intenzione di perdonarmi?- Le parole erano aspre, ma il tono con cui le pronunciò privo di qualsiasi ostilità. Era solo pacato e gentile, nulla di diverso dalla tranquillità che la giovane emanava di solito.
Eppure Stan non riuscí a contenere il fremito delle mani.-No, vorrei solo che la mia presenza non ti causasse dolore.-
-É la tua assenza a fare piú male, se é questo che vuoi sapere.-
Il ragazzo si morse una guancia.-Non c'é nulla che io possa fare, per questo...-
-A te non fa male nemmeno un po'?- Chiese Susie d'un tratto, il capo inclinato, gli occhi cupi di chi sa di non avere il diritto di porre una domanda del genere.
Stan ricambiò quello sguardo con fervore.-Certo che sí.- Rispose.
Esser stato preso in giro? Gli faceva attorcigliare le budella. Aver subito menzogne per mesi, essere colpito nelle sue piú grandi insicurezze, essere tradito? Un pugno stretto attorno al cuore, che non lo lasciava libero di pulsare. Ma sapeva che Susie parlava di altro - dell'aver perso una persona importante. Qualcuno che stava iniziando ad amare. E sí, faceva male anche quello.
Susie annuí.-É un altro dei motivi per i quali mi vedi triste. So che la mia presenza non ti é gradita.-
-Non é cosí.- Rispose lui, fin troppo in fretta. Ma si costrinse a non arginare i sentimenti, ad essere onesto.
Susie era stata crudele con lui, ma con i suoi amici?
Non poteva dimenticare del modo in cui aveva protetto Eddie e Richie, quando erano stati aggrediti in cortile l'anno prima. Di quanto avesse sostenuto la loro relazione e si fosse piú volte esposta, rischiando lo scherno della scuola, per permettere loro di volersi bene in serenità. Era stata vicino a Rebecca quando Hockstetter l'aveva molestata, l'aveva stretta a se mentre piangeva per il ritorno di Wentworth, nel fienile di Mike. Aveva infilato le sue canzoni preferite nella cassetta per Richie.
Stan non poteva - non doveva - ignorare tutto ciò che la rendeva unica, degna dell'amore che le aveva offerto, solo perché aveva commesso degli errori. Il bene che aveva fatto non andava cancellato.
-I miei amici ti vogliono bene.- Disse.-E tu vuoi bene a loro. La tua presenza non mi sarà mai sgradita, finché continuerai a dedicare loro protezione ed affetto, tanto quanto faccio io.-
Susie arretrò, quasi avesse voluto correre via, e Stan non poteva biasimarla. Era un discorso scomodo da affrontare, soprattutto dopo tutti quei giorni di silenzio. Adesso le loro voci suonavano quasi estranee.
-Per quel che vale, Stan, ho affetto e protezione anche per te.-
Il ragazzo sapeva che non avrebbe dovuto crederle. Che Susie gli aveva dimostrato tutt'altro. Ma chi era lui, per impedire al suo cuore di battere forte a quelle parole?
Susie si voltò, i capelli un turbinio d'oro sotto le luci bianche appese al soffitto, e a Stan ricordò non la prima volta in cui l'aveva vista, no. Era solo una ragazza tra tante davanti al cancello della scuola, ferma a chiacchierare di chissà quali frivolezze che al se quattordicenne davano ai nervi.
Ma gli ricordò la volta in cui l'aveva guardata, seduta vicino a lui ad ingozzarsi di sushi, e aveva pensato che gli sarebbe piaciuto poter provare qualcosa per una persona cosí. Radiosa e sincera.
-Grazie.- Mormorò tra sé, intanto che Susie si allontanava.
Le apparenze lo avevano ingannato, ma adesso che sapeva cosa aspettarsi, forse, le cose sarebbero andate diversamente.

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