Touchdown

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Eddie e Richie fecero effettivamente ritardo.
Stan tamburellò impazientemente su uno dei posti vuoti accanto a sé. Era riuscito a recuperarne giusto tre, uno per sé e uno per quei due inetti: gli spalti non erano mai stati così affollati. Ma, dopotutto, non c'era da sorprendersi; l'ultima partita dell'anno era sempre la più seguita e attesa.
Anche Stan era entusiasta. Non si era mai perso un'entrata in campo di Mike, ed era convinto che fosse molto bravo, al punto che avrebbe potuto inseguire una carriera nel football - ma a questo l'amico ancora non aveva pensato, diceva che i primi due anni di college gli avrebbero schiarito le idee, come alla maggior parte dei Perdenti. Pochi di loro avevano già delineato un percorso, ed era giusto così. Avevano solo diciassette anni.
Stan si girò attorno alla ricerca degli altri amici. Non era stato possibile trovare posti che fossero tutti vicini: Beverly era seduta diversi metri più in là, mano nella mano con Ben. Stavano bevendo una schifezza gassata dalla stessa cannuccia. Melissa era a bordo campo, si sporgeva dalla ringhiera in attesa di veder sbucare fuori Mike dagli spogliatoi. Bill e Rebecca erano due file di spalti più su, Stan riusciva solo a vedere le loro teste vicine, i ricci neri della ragazza contro il rame bruno di Bill. Rebecca piegò improvvisamente la testa all'indietro e, nel constatare che Richie e Eddie non erano ancora arrivati, rivolse a Stan un'espressione interrogativa, con le sopracciglia aggrottate.
Stan si strinse nelle spalle, appoggiandosi con la schiena alla gradinata, piuttosto seccato di esser stato lasciato da solo. Si augurava per loro che avessero una buona scusa, ma poteva ben immaginare il motivo del loro ritardo e, probabilmente, non l'avrebbe neppure chiesto. Richie si divertiva a sciorinare dettagli scabrosi, veri o fittizi che fossero, e non era proprio il caso di provocarlo.
I giocatori iniziarono a disporsi per il campo, uscendo in mucchi dagli spogliatoi; quelli della scuola superiore di Derry indossavano uniformi di un bel rosso granata a stampe bianche. Si levò un coro di fischi ammirati dalla curva di Stan, e da quella opposta uno scroscio di applausi per la squadra avversaria, in blu e giallo.
Ci vollero pochi minuti di chiasso e preparazione perché l'arbitro segnasse l'inizio e la palla fosse lanciata.
E ci volle un altro quarto d'ora perché arrivasse Susie.
Stan aveva tenuto gli occhi sull'azione per tutto il tempo, seguendo i passaggi di Mike, tifando a squarciagola per lui, quasi dimenticandosi di controllare se Richie e Eddie stessero scendendo gli spalti in cerca di posti a sedere - e quando li aveva alzati, l'aveva vista.
Di fronte a lui, si faceva largo tra la folla schiamazzante della curva avversaria, gettando lo sguardo nocciola di qua e di là nella speranza di un buco in cui infilarsi.
Il ragazzo dovette trattenersi dal sollevare un braccio per attirare la sua attenzione. Erano posti riservati per Richie e Eddie, ricordò a se stesso. Ma Susie sembrava così...
L'arbitro fischiò punto, e gli occhi di Stan tornarono a concentrarsi sulla partita. Vari giocatori della squadra di Derry stavano dando abbondanti pacche sulle spalle a Nick, che fece una piccola corsetta allegra per il campo prima di tornare alla sua posizione.
Non era sicuro di essere dispiaciuto per essersi perso quell'azione: la gloria di Nick aveva poco valore per lui. Per un istante desiderò quasi che la squadra perdesse, solo perché non voleva che quel ragazzo avesse alcun tipo di soddisfazione - mai, per il resto della vita - ma c'era anche Mike a dimenarsi su quel campo, sudando per la vittoria, e Stan ritirò il pensiero.
Si accertò brevemente che Susie non fosse stata scaraventata giù dagli spalti dalle braccia mulinanti della tifoseria e tornò ad osservare il gioco.
Tuttavia non poté impedire ai propri occhi di sollevarsi su di lei, di tanto in tanto. Soprattutto quando l'arbitro fischiò la fine del primo quarto e il campo si svuotò, mentre i giocatori andavano a riposarsi e bere.
Si chiese perché avesse fatto tardi. Non era da lei.
Sembrava particolarmente spenta - non che fosse una novità, nelle ultime settimane. Suo malgrado, Stan aveva dovuto ammettere che Susie pareva starci davvero male per la rottura. Che fosse per il senso di colpa, o per la sincera mancanza che sentiva di lui. Beverly aveva detto che gli voleva bene, e anche se Stan non ne era convinto del tutto, il pallore sul volto di Susie contribuiva alla causa.
Ma quella sera, sotto le bianche luci che illuminavano gli spalti e l'erba verdissima, Stan individuò in lei un tormento estraneo.
Aveva addosso il più anonimo dei cardigan e strofinava ripetutamente tra loro i palmi delle mani - era possibile avesse freddo, in quella tiepida sera di maggio? Non c'era neppure un alito di vento a scompigliarle i capelli.
Richie e Eddie arrivarono alle sue spalle, facendolo quasi sobbalzare quando lo toccarono per salutarlo e sedersi. Boccaccia teneva sottobraccio una porzione gigante di popcorn.
-Vi sembra l'ora di arrivare?- Borbottò Stan, e Richie infilò una buona manciata di popcorn in bocca.
-Fe fi fiamo perfi?- Farfugliò, e Stan dovette appiattirsi contro lo schienale dello spalto mentre anche Eddie allungava un braccio davanti a lui per servirsi.
Era strano che il ragazzino si avventasse così su uno snack poco salutare - strano e meraviglioso, al punto che Stan rivalutò quasi la propria stizza.
-Forse è meglio che Eddie si metta in mezzo?- Chiese, intanto che alcuni popcorn cadevano dalla mano del ragazzino dritti sui suoi pantaloni.
I posti furono brevemente scambiati e Stan si accorse che, da quella posizione, poteva guardare Susie dritta negli occhi. Anche la ragazza si accorse di lui, il suo sguardo si fece meno assente all'improvviso e ravviò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio. Stan sollevò timidamente le dita per salutarla.
-Allora?- Insistette Richie, avvolgendo il braccio libero attorno alle spalle di Eddie.
-Abbiamo fatto punto.-
-Mikey?-
-No, Nick.-
Eddie storse il naso lentigginoso e Richie riprese a masticare, pensieroso.
-Gli altri sono tutti qui?- Chiese il ragazzino.
Stan gli indicò i Perdenti uno ad uno, rendendosi conto, con una fitta allo stomaco, che si trattava solo di coppie. Vedere Susie dall'altra parte del campo gli ricordò solo la distanza ormai fisica e onnipresente che si era creata tra loro, e la fitta risuonò anche nel suo orecchio, come una nota stonata. Susie non avrebbe dovuto trovarsi lì.
-Ha fatto tardi?- Domandò infatti Richie.-Potevi darle uno dei nostri posti. Non penso che Eddie si sarebbe lamentato, se avesse dovuto seguire la partita seduto sulle mie gambe.-
Il ragazzino gli diede un pizzicotto sulla coscia.
-Non ci ho pensato.- Mentì Stan.
-Magari al prossimo tempo...- Suggerì Richie, sovrastando il fischio di ripresa che provenne dal centro del campo.
Ma non realizzarono quel proposito.
La partita proseguì per un'ora, tra la palla che si spostava di mano in mano, i giocatori che cadevano e si afferravano per le magliette, l'arbitro che segnalava falli e zolle di terra che volavano sotto i colpi dei tacchetti. Nelle orecchie di Stan si accavallarono fischi, cori, il rumore dei popcorn sgranocchiati, le voci dei venditori di hot dog, i commenti di Eddie e Richie ad ogni occasione persa e, più forte di tutto, il battito del suo cuore ogni volta che il suo sguardo si spostava inesorabilmente su Susie.
Fu estenuante, come se la partita non fosse sotto di lui, in quel campo zeppo di adolescenti in pantaloni attillati, ma di fronte a lui, in quel gioco di occhiate con Susie. Ad un certo punto non fu neppure più sicuro che la ragazza lo stesse osservando - forse era solo la sua immaginazione. Doveva averla inquietata, a furia di lanciarle sguardi come un maniaco. Che cosa aveva per la testa? Perché non riusciva a concentrarsi sull'azione al pari di tutti gli altri? Nemmeno sapeva quale delle due squadre stesse vincendo.
Mike, si disse, pensa a Mike. Che cosa avrebbe dovuto dirgli, alla fine di tutto? "Complimenti, non ho seguito neppure per un istante ma sono sicuro che tu sia stato grande"?
Ad un tratto si scatenò il putiferio, e Stan si ritrovò a realizzare che la squadra di Derry aveva segnato il punto decisivo. Una cheerleader aggiornò il tabellone tra il giubilo del pubblico, e l'arbitro fischiò la fine, spalancando le braccia per fermare i giocatori. Eddie e Richie si alzarono di scatto, quasi rovesciando il resto dei popcorn, e Boccaccia tirò su anche Stan, tenendolo per una spalla.
Fu liberatorio urlare per qualche istante, Stan lasciò scorrere tutta la tensione accumulata attraverso le corde vocali, e per un po' non pensò: si limitò a saltellare per farsi vedere da Mike, che si era tolto il casco di protezione e sorrideva raggiante agli amici sugli spalti. Il ragazzo stese le braccia verso Melissa, a pochi metri da lui, e la sollevò in un abbraccio.
Anche gli altri Perdenti erano in piedi, schiamazzanti, e a Stan ricordò la notte del concerto, in cui avevano cantato a squarciagola oscillando a ritmo di musica e stringendosi gli uni agli altri. Quella partita segnava la fine di un'epoca, dopotutto. C'era ben poco da fare prima che ognuno di loro prendesse la propria strada.
Dal campo provenne un altro fischio, e fu assordante, perché non fu l'arbitro ad emetterlo, ma l'interferenza di un microfono.
Stan aggrottò la fronte mentre constatava che c'era Nick Kennest in mezzo all'erba, con il trofeo in una mano e il microfono in un'altra. Lo avvicinò alla bocca, e il ragazzo pensò che volesse fare un discorso - insolito, ma non per un pavone come lui.
Nick sorrise, a metà, come se fosse a conoscenza di qualcosa che nessuno sapeva, ed esordì:-Susie! Susie Gorman, dove sei?-

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