Capitolo 20

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"Camila, tesoro... Sei stata bravissima, hai disputato una gran bella partita. Vieni qui, lascia che ti presenti Richard, il mio vecchio amico, nonché rettore della NYU." Alejandro Cabello sorrise soddisfatto indicando il suo amico, con il quale però aveva sempre avuto una certa rivalità. Così continuò a lodare sua figlia, sottolineando anche il suo goal su punizione da posizione quasi impossibile.

"Ok, Alejandro, abbiamo capito. Stavolta hai vinto tu, per la prossima partita si vedrà. Le mie ragazze sono molto agguerrite, come avrai notato."

"Sul serio?" Lo riprese scioccata Camila. "Solo agguerrite? Quelle stronze hanno cercato di far male a metà squadra. Sono di una scorrettezza unica."

"Camila!" La riprese il genitore. 

"Cosa?" Si infuriò lei. "Ho la caviglia dolorante, che si è già gonfiata, e riesco a stento a metterci il mio peso su. Salterò almeno due allenamenti, se non tre, e siamo a inizio stagione. Le altre ragazze domani saranno piene di lividi, non ne ho dubbi. E dopo quello che hanno fatto a Lauren, volontariamente, non so con quale coraggio le abbiate fatte scendere di nuovo in campo."

L'espressione confusa si dipinse sui volti dei due uomini, che rimasero in silenzio di fronte alla ragazza che si era appena sfogata.

"Scusami Camila, cosa intendi dire?" Le stava chiedendo Richard. Ma lei non lo ascoltava già più. Aveva sentito la porta chiudersi alle sue spalle, in fondo al corridoio. Si girò con un sorriso, pensando che Lauren stesse uscendo, ma non era così. Sarà entrato qualcuno. Il cuore prese a batterle furiosamente mentre il sorriso le scomparve dal volto. Magari è una nostra compagna di squadra che ha dimenticato qualcosa negli spogliatoi. O una sua vecchia amica che vuole solo salutarla. Ma la sensazione di angoscia che le opprimeva il petto saliva di momento in momento.

Le sembrò di muoversi al rallentatore. Era conscia di suo padre che la chiamava, stranito dal suo comportamento. Poi si sentì un forte rumore proveniente dallo spogliatoio, e fu quello a risvegliarla dallo stato di trance in cui le sembrava di essere. Lauren, cazzo. Pensò. O forse lo urlò, non ne era sicura. Ma corse. Corse come non aveva mai fatto prima. Quella decina di metri che la separavano dalla donna della sua vita le sembrarono non finire mai.


La sensazione della lama la fece rabbrividire. Si sforzò di continuare a respirare normalmente, nonostante sentisse tutti i muscoli contratti dalla paura. Il pensiero andò subito a Camila, e dopo il rimpianto, fu contenta che la mora fosse al sicuro in quel momento. Come se avesse intuito i suoi pensieri, l'altra parlò.

"Dov'è la tua amichetta? O meglio, le tue amichette."

"Vaffanculo, Sarah. Fottiti, tu e quelle bastarde delle tue amiche." Le rispose improvvisamente furiosa Lauren, voltandosi all'improvviso prendendo di sorpresa l'altra ragazza. Nel movimento brusco si ferì leggermente con la lama affilata, ma ignorò il  dolore e la sensazione del sangue che le colava. Bloccò la mano armata, allontanandola da sé stessa, mentre l'altra cercava di riportare l'arma vicino al suo viso.

"Si può sapere cosa cazzo vuoi da me?" Sibilò Lauren, mentre continuava quella breve lotta. Devo distrarla, prendere tempo.

"Semplicemente mi fai schifo. Non meriti nulla."

"Vaffanculo." Le disse ancora una volta. "Quello che ho, l'ho guadagnato con il sudore della mia fronte. Nessuno mi ha mai regalato niente. E l'ho dimostrato oggi, segnando nonostante l'infortunio."

Uno scintillio malefico brillò nello sguardo dell'altra ragazza. Lauren capì di aver commesso un errore, ricordandole il suo punto debole. Devo rimediare. L'altra la sovrastava di peso ed altezza, e stava per sopraffarla. Non posso resistere a lungo.

Mentre l'altra stava per tirarle un calcio al ginocchio infortunato, approfittò del fatto che si fosse sbilanciata, per tirarla di lato, travolgendo la panca che si rovesciò sotto il loro peso creando un baccano infernale, che attirò l'attenzione delle persone lì fuori.

Fu tutto molto confuso, si ritrovò con l'altra addosso a lei, il coltello era in alto, tra le mani della sua nemica, e gocciolava sangue. Confusa, restò a guardare una gocciolina di sangue che si allungava verso il basso, verso il suo volto. Le sue mani continuavano a tenere ferme quelle dell'altra, ma sentiva i muscoli tremare dallo sforzo. Chiuse gli occhi, pronta ad arrendersi, stremata.

"Laur" sentì, mentre si accorgeva che il peso dell'altra ragazza non era più sul suo corpo, sostituito dal calore delle braccia di Camila, dal suo profumo, dal benessere che quel gesto le irradiava. Riaprì gli occhi, trovando lo sguardo preoccupato dell'altra che la scrutava, inginocchiata accanto a lei.

"Oh mio Dio. Sei ferita." Mormorò mentre si allontanava per osservarla meglio.

"Non è nulla, sto bene." Le sorrise. Camila azzerò le distanze, baciandola ripetutamente. Sentirono qualcuno schiarirsi la gola, poi la voce di Alejandro Cabello che incredulo mormorò:

"Camila?"

"Oh cazzo." Mormorò la mora, ricordandosi solo in quel momento dei due uomini che erano entrati insieme a lei e che avevano fermato l'aggressione. Guardò quei caldi occhi verdi, e sorrise incurante, alzando le spalle e facendo una risatina. "Ehm... papà..." Iniziò con voce incerta. Non sapeva come continuare. Non che avesse paura della reazione del genitore, era più l'imbarazzo che provava per essersi mostrata così affettuosa con qualcuno davanti a suo padre.

"Va tutto bene." La rassicurò lui. "In fin dei conti ho fatto carte false per avere in squadra la Jauregui, e ora ce l'ho anche in casa." Sdrammatizzò, strappando una risata a tutti, esclusa la ragazza che cercava di liberarsi dalla salda presa dei due.

Lauren e Camila si sorrisero, mentre la più piccola l'aiutava a rimettersi in piedi tenendole la mano.

"Vieni, andiamo in infermeria."

Gioco di squadra - CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora