IX. Scoperta

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«Scriverai alla signora Scamander che non può rivolgersi direttamente a me per lamentele puerili sull'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Neanche il Ministro in persona può costringerli a lavorare su creature che non esistono.»

«Naturalmente. Preparo una versione edulcorata da spedirle?»

«Sì. Grazie, Rose.»

La sua voce esasperata si addolcì davanti all'usuale efficienza della segretaria. Hermione la vide aggiustarsi gli occhiali sul naso con il medio e raccogliere le pergamene che avrebbe affidato ai volatili nella Guferia di Hogwarts. Le si avvicinò per porgerle un'altra busta, presa da uno dei banchi vuoti dell'aula di Pozioni sul quale aveva posato i propri incartamenti.

«Ti spiace mandare anche questa a Hugo?»

«Certo, Ministro, non c'è problema.»

Hermione la ringraziò e l'altra uscì, l'andatura tranquilla e la bacchetta alzata a reggere a mezz'aria tutti i fogli che altrimenti le avrebbero occupato le braccia.

Si voltò verso la cattedra, sulla quale Draco stava trattando degli ingredienti, che, a un'occhiata più attenta, riconobbe come pungiglioni di Celestino essiccati. Accanto a essi si trovava il coltello d'argento che aveva utilizzato per sminuzzarli in una polvere fine e la bilancia di ottone su cui l'avrebbe pesata. C'erano alcune pergamene fitte delle grafie più disparate e un libro aperto, che lui aveva consultato di tanto in tanto. Un set di provette riempito di liquidi di diversi colori sgargianti spiccava nella luminosità fioca dei sotterranei.

Alzando lo sguardo incontrò le iridi brillanti dell'uomo, che la scrutavano come se fosse lei, l'oggetto di studio più interessante in quell'aula – non le sostanze vegetali che riempivano l'aria di fragranze distinte, non i derivati di creature magiche conservati in barattoli di vetro alle pareti, nessuno dei volumi che possedeva per l'approfondimento della materia. Le sue ciglia chiare contornavano gli occhi che la guardavano, e che lei guardava, senza che nessuno dei due osasse muoverli: persino camminare per avvicinarsi, come entrambi desideravano, avrebbe implicato interrompere il contatto visivo per rivolgerli ai passi sul pavimento.

Fu lui a cedere per primo e, senza l'ardire di chiedere con le parole, li spostò sulla mano che protese per invitarla a raggiungerlo: le avrebbe lasciato l'onere di andare verso di lui, libera in ogni decisione, come non le aveva mai imposto niente – come se avesse avuto una scelta. La sua voce sapeva essere ardita negli insulti fantasiosi, ma, come sempre, c'era più coraggio nel suo tocco che nelle sue parole e in ognuna delle sue azioni passate.

Hermione ascoltò ancora una volta solo i propri desideri e i piedi avanzarono sulla pietra. L'ultima distanza dal suo torace fu annullata dalla stessa mano, che lui le posò sulla schiena per stringerla, come se avesse inteso destinarla a quel punto morbido del suo corpo dal primo istante in cui l'aveva allungata tra loro.

Adagiata al calore del suo petto, anche la fredda umidità dei sotterranei sembrava più tollerabile. Lo circondò con le braccia e reclinò appena il capo all'indietro per riuscire a guardarlo in viso.

Draco usò le nocche della sinistra, libera, per percorrere il profilo del suo viso dal mento alla tempia, in una lieve carezza a cui lei reagì rilassando ogni muscolo facciale, una gradita sonnolenza che non sapeva di stanchezza. Poi lui aprì il palmo e incastrò le dita tra le radici dei suoi capelli, facendole scivolare verso il basso per tutta la loro lunghezza.

«Tricopozione Lisciariccio?» domandò in un mormorio basso, mentre investigava al tatto le ciocche lisce.

«Oltre Ogni Previsione, professore» si complimentò, ironica.

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