XIII. Turbamento

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Hermione scese le scale che portavano ai sotterranei ponendo un'attenzione inusuale a ogni singolo passo. Il peso dei piedi sui gradini era il contraltare di quello nel petto; il secondo si nutriva dell'amara ironia per la quale, in una scuola di magia, una studentessa era deceduta in una maniera che avrebbe ucciso anche un Babbano. Sola e insanguinata davanti a un'altra scalinata, nessun incantesimo aveva salvato Myrtle Steeval e cadere era stato precipitare verso la fine. Nemmeno la magia poteva fornire rimedio alla morte, era scritto in ogni libro della biblioteca.

Si passò una mano tra i capelli per spostarli sulle spalle, perché non la accecassero. Sperava di riuscire a imbastire una conversazione produttiva con gli Elfi Domestici – non le fossero bastati gli anni di scuola a dimostrarle che non era esattamente in grado di averci a che fare, il periodo all'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche aveva messo un punto definitivo alla questione. Forse avrebbe potuto esserle utile l'esigente professoressa Hanover, che li sfruttava quotidianamente per i suoi tè, tisane o qualunque bevanda si addicesse a una nobildonna o presunta tale.

Davanti all'ingresso delle cucine, poste precisamente al di sotto della Sala Grande, distinse la figura alta di Neville Paciock. Aveva il busto piegato per poter guardare una creatura vestita di stracci, molto più piccola di lui e di qualunque umano. Mentre procedeva verso di loro, Hermione lo vide porgergli un contenitore di forma cilindrica. Non riusciva a distinguere se fosse una tazza o un bicchiere, ma pensò che anche lei avrebbe potuto approfittarne per chiedere, con gentilezza estrema – come era appropriato –, una cioccolata.

Si scambiarono un cenno di saluto e, avvicinatasi, udì il professore tornare a rivolgersi all'elfo: «Preferisco che il mio caffè sia più dolce. Portalo dentro.»

Le ultime due parole configuravano un ordine – lei avrebbe aggiunto un "per favore" o un "grazie" – e la creatura non poté fare a meno di ubbidire. Si prodigò in una risposta servile – «Certo! Subito, signore, subito!» – e poi sparì all'interno, rapido, attraverso il varco che si richiuse dopo il suo passaggio, nascosto dal dipinto di un colorato cesto di frutta.

Neville fece qualche passo indietro per lasciarle spazio, lo sguardo che vagava sulle pareti spoglie, in attesa.

«Un elfo con cui avrei potuto parlare è appena andato via e io detesto disturbarli» mormorò, con una costernazione che era consapevole sfuggisse a molti. «Non so mai come prenderli, capisci?» ridacchiò, guardandolo per un momento. Poi allungò una mano verso la pera nel quadro, che le pennellate magiche facevano sembrare quasi reale, ma fu bloccata dalla voce dell'uomo e si voltò di nuovo, per istinto.

«Non è mai un disturbo per loro» evidenziò, la voce a mascherare una risata e le braccia incrociate al petto. «Pitts!»

Non aveva avuto bisogno nemmeno di alzare la voce: l'elfo domestico appena rientrato ricomparve subito davanti ai loro occhi, senza produrre il classico rumore associato alla Materializzazione dei maghi. Le regole della magia degli elfi sfuggivano alle logiche che Hermione padroneggiava da quando aveva undici anni e così se lo ritrovò di fronte in una maniera diversa da come aveva inteso convocarlo – cioè chiedendo per favore.

La creatura si concesse un'occhiata veloce a Neville, poi abbassò lo sguardo sui propri piedi nudi, cominciando ad agitarsi sul posto. «Il signore mi ha fatto venire di nuovo» iniziò, desolato. «Se Pitts ha sbagliato, rimedierà. Pitts lo giura.» Si colpì con un palmo sulla fronte e continuò a farlo in una successione sempre più rapida.

«Fermo, non farti del male!» esclamò Hermione, il tono acuto, colmo di orrore. Allungò una mano per bloccarlo, ma la sua volontà era più forte dei muscoli umani. Il turbamento di Hermione, a quella vista, non poteva molto contro il turbamento ancora maggiore della creatura, che credeva di aver commesso un errore nei propri doveri.

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