Epilogo. L'antidoto alla verità

917 35 11
                                    

Il sole estivo accendeva il prato dei riflessi di un verde vibrante; l'erba, tagliata corta, era una tiepida carezza sotto i piedi, sfiorava soffice le suole delle scarpe in un invito a destinarle piante nude. Si estendeva intorno all'edificio e, dalla porta d'ingresso, delimitava un viale in pietra che si allungava fino al cancello. Cespugli di forme ordinate seguivano una disposizione geometrica davanti alla casa e alcuni insinuavano foglie ad avvolgere i mattoni della facciata del piano terra. Da una fontana circolare al centro del giardino si alzava un getto incessante, limpido, fresco scrosciare nella luce del giorno, e qualche becco si avventurava a raccogliere gocce d'acqua se nessun umano era nei paraggi. Piccoli uccelli scappavano da un ramo all'altro degli arbusti più alti, che segnavano il perimetro della proprietà, con le chiome che si allargavano come nuvole verdi su uno sfondo celeste.

All'ombra di uno di essi, affinché i raggi non le ferissero gli occhi, Hermione stava leggendo. Teneva le pagine ferme con le dita perché la brezza non le trascinasse via e di tanto in tanto sollevava lo sguardo per controllare i tre ragazzi poco distanti, sebbene non avesse ragione di temere alcun pericolo, tra fiori e piante che uno di loro conosceva da tutta la vita. Non era facile concentrarsi sui documenti quando voci gioviali le giungevano perfettamente chiare, come se lei stessa fosse impegnata a giocare insieme a loro. Le lievi folate di vento tra le fronde e il delicato cinguettio dei volatili, nel cielo terso della campagna inglese, non coprivano i loro toni acuti; nonostante ciò, la vivacità della città di Londra, che le era ben nota, non era in grado di offrire la medesima pace.

«Sicuro che questa quantità d'acqua sia giusta?»

Una porzione del giardino era dedicata a un roseto: due file parallele di cespugli e molteplici note di colore a ornarli. Infilati tra foglie lucenti, petali delle tonalità più comuni e quelle impossibili in natura ottenute per magia promettevano bellezza eterea, da toccare al prezzo della minaccia delle spine che li proteggevano.

Non ne aveva timore, Scorpius Malfoy. Inginocchiato al suolo, l'annaffiatoio in una mano e un piglio concentrato in viso, si muoveva attorno alle piante con scrupolo. Non era la prima volta che le maneggiava, mentre sua figlia Rose non aveva mai avuto una passione per il giardinaggio; perciò gli stava accanto nel modo che le era più congeniale, seduta a terra a gambe incrociate, leggendo ad alta voce passaggi da un testo di botanica magica e interrogandolo. Spostava lo sguardo dalle pagine ai fiori a intervalli regolari, consultando e confrontando, come se le rose di Astoria Malfoy fossero una nuova materia di studio. Rose, che era curiosa in diversi ambiti ma concentrava il proprio tempo solo su quelli che le destavano maggiormente interesse, vi si dedicava perché tenere distratto quel coetaneo dall'inafferrabile sorriso era diventata la sua nuova missione. Vicino a loro, assorto nello studio di forme e colori più che delle cure che li rendevano possibili, Hugo scrutava intensamente tra le foglie; quando un insetto fece per insinuarsi nell'accogliente rifugio dei petali, prese al volo la macchina fotografica così che lo scatto magico ne avrebbe mostrato la traiettoria del volo.

«Sì, mia madre l'ha sempre riempito tutto.»

Non c'era dolore nella voce gentile che rispose con un accenno a un genitore che non avrebbe più avuto la possibilità di spiegargli quanto pieno dovesse essere l'annaffiatoio. Il sonno agitato di Scorpius era una confessione che Hermione conosceva solo dalla bocca del padre: quel ragazzo aveva tutta la dignità di un giovane uomo e non esibiva altro che muta rassegnazione, agli occhi di una coetanea che stava iniziando a considerare un'amica, ma non era famiglia. E agli occhi di Hermione, che lo approcciava in punta di piedi e reagiva solo sulla base della sua accoglienza.

Al termine dell'anno scolastico Rose aveva lasciato Hogwarts con i voti desiderati e Scorpius era tornato da Durmstrang con voti discreti e desideri irrealizzabili. Draco le aveva raccontato di una camera che era diventata come una stanza d'ospedale, uno sfregio dell'arredamento elegante, una distorsione nella calorosa aria di casa. La prima cosa che il figlio aveva fatto, come sempre al ritorno da scuola, era stata andare ad aprirne la porta: l'aveva trovata svuotata e ripulita. Il peso di una verità incancellabile – una perdita ingiusta, un lutto crudele – si era manifestato in una delle sue conseguenze pratiche e allora Scorpius aveva preso a occuparsi del roseto della madre, pregando Draco di chiedere al giardiniere di curare tutto il resto meno che i fiori preferiti di Astoria. Il padre, che non gli avrebbe negato niente, aveva acquistato per lui un nuovo set da giardinaggio.

Come un antidoto universaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora