XVI. Inaspettato

538 31 11
                                    

«Sono sorpresa della sua convocazione, Ministro.»

Dalla sedia davanti alla scrivania, Rose Zeller la guardava senza mostrare apertamente la propria curiosità, a dispetto delle parole. Congiunse le mani sul grembo e abbassò gli occhi su un'ombra più scura del legno. Non avrebbe neanche avuto il coraggio di tenere la schiena dritta sullo schienale, se non per educazione – Hermione non l'aveva mai vista meno che composta, nelle numerose volte in cui avevano condiviso una scrivania e lavoro e alacre impegno.

La luce proveniente dalla finestra dietro la poltrona del Ministro le accendeva i capelli di riflessi scuri che esistevano solo al sole, come se unicamente quei raggi potessero disvelare le tonalità segrete del suo aspetto. L'animo della sua precedente assistente celava sfumature inafferrabili – e insospettabili prima che il fuoco del tradimento le palesasse, bruciando un'affidabile apparenza come le mani colpite dalla Maledizione Flagrante.

«Credo che abbiamo lasciato un discorso in sospeso.»

Incastonata nella parete di fronte a Hermione, la porta dell'ufficio era serrata. Un calendario era appeso sulla superficie lignea dall'altro lato, nella stanza dell'assistente; un altro più piccolo, da tavolo, posava sul ripiano della scrivania. Hermione li aveva collegati con un Incanto Proteus perché le annotazioni scritte su uno si trasferissero istantaneamente anche all'altro. Accanto a esso una cornice racchiudeva una foto magica, scattata da Ron qualche anno prima, di lei con Hugo stretto al petto e Rose per una mano. L'uomo che era stato suo marito era già assente dalle memorie private collezionate sul luogo di lavoro e lei neanche se ne era resa conto.

Le mura erano rivestite di pietra nuda e su una delle pareti il grigio continuava sulla superficie grezza del camino, impiegato come mezzo di trasporto più che come fonte di calore; era lo stesso che avrebbe utilizzato, in caso di emergenza, per entrare in contatto con il Primo Ministro Babbano, lei che in quel mondo era nata. Le era stato domandato se preferisse un rinnovamento dell'ambiente, colori, materiali, arredamento, quando aveva assunto l'incarico. Hermione si era ripromessa che il suo impatto al vertice del Ministero della Magia britannico sarebbe stato ben più evidente della ristrutturazione di un ufficio privato e che il suo successore avrebbe ereditato un'istituzione riorganizzata nel concreto più che nell'apparenza.

«Immagino voglia chiedermi una spiegazione» commentò Rose con un filo di voce, la bocca poco incline al sorriso.

Hermione cercò, dalla pila di documenti posata in un angolo sullo scrittoio, quelli che aveva richiesto al tribunale dei maghi, l'organo indipendente del Ministero da lei guidato che amministrava il potere giudiziario.

Li posizionò tra loro due, lasciando bene in vista il logo del Wizengamot in cima al foglio. Una sua rappresentazione materiale era nell'aula in cui Rose era stata esaminata, incisa sulla pietra, e le dimensioni imponenti erano il promemoria del peso della rettitudine.

«Sei stata giudicata colpevole di furto, commesso in due occasioni a Hogwarts.»

Rose non rispose, ma arrossì di vergogna e tenne il capo chino.

Hermione voltò una pagina del fascicolo. «Le indagini hanno accertato che hai rivenduto la refurtiva del primo sul mercato nero a Notturn Alley.»

La donna si agitò appena sulla sedia, ma non la interruppe.

«Un testimone ha dichiarato di averti pagato un totale di trenta galeoni.» Prese una veloce annotazione su un foglio di pergamena, ragionando tra sé che avrebbero dovuto essere indagati pure i traffici di quel mago. Le vendite illegali non solo danneggiavano l'economia sana – e lo Speziale di Diagon Alley in quel caso pagava le conseguenze di ingredienti per le pozioni svenduti a prezzi inadeguati – ma quei prodotti sfuggivano anche ai rigidi regolamenti e ai controlli di qualità del Ministero.

Come un antidoto universaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora