Capitolo 7.2

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Si inumidì le labbra, e catturò le mie, facendomi sua con movimenti lenti e profondi della lingua, mentre con una mano alla base del collo mi spinse ancora di più a sé

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Si inumidì le labbra, e catturò le mie, facendomi sua con movimenti lenti e profondi della lingua, mentre con una mano alla base del collo mi spinse ancora di più a sé. Le sue labbra erano morbide e voluttuose, in netto contrasto con la sua barba, così ispida e virile, che mi punzecchiava il mento.

Fu un bacio diverso da quello che gli avevo dato io di nascosto mentre dormiva in camera sua, e da quello che mi aveva dato lui poco prima sulla panchina. Fu travolgente e... pericoloso, come un'alta marea che si riversa sulla sabbia e la trascina via con sé negli abissi.

Quando Mirko lo interruppe e appoggiò la fronte alla mia in un gesto di resa, le nostre bocche erano ancora a un soffio l'una dall'altra, dischiuse e frementi, con i fiati caldi che si confondevano tra loro.

«Era da tanto che lo desideravo», chiarì, e un brivido lo fece tremare tra le mie braccia.

Mi abbandonai al suo petto, appagata, ma non chiusi gli occhi, perché il punto sul ponte in cui ci trovavamo, con i suoi giochi di luce e di ombre tra le foglie secche degli alberi, contribuiva a rendere unico quel momento.

«Pensi che io possa entrare a far parte del tuo mondo, anche se è stato sottosopra?» osai, senza avere il coraggio di incrociare il suo sguardo.

«Io lo vorrei, Sofi, con tutto me stesso. Sono stanco di limitarmi, di farmi condizionare dai miei problemi.»

«La tua non deve essere mai stata vita», riflettei, triste per lui.

«No, non lo è stata. Anche se, dopo il periodo di ribellione in montagna, ho imparato l'importanza della disciplina, del rigore e della calma interiore. Sono state loro ad aiutarmi a raggiungere un mio equilibrio.»

«Come mai sei sceso a Milano, allora?» domandai, non capendo il motivo del suo ritorno nella città lombarda.

«Per mettere in pratica gli insegnamenti che ho ricevuto in Trentino, e vivere sul serio, senza fare più il ragazzino arrabbiato con il mondo», rispose, al mio orecchio.

«Un bel proposito.»

«Trovi?»

Mi baciò sul naso, sulla guancia, per poi incontrare di nuovo la mia bocca, questa volta con una tale tenerezza che crebbe in me la voglia di coccolarmi con lui fino a tardi.

Scendemmo dal ponte in tranquillità, superando l'Acquario Civico e la Torre Branca, diretti all'Arco della Pace.

Lungo uno dei sentieri alberati incontrammo un gruppo di musicisti con chitarra e sax, che suonavano un brano famoso degli U2, "Sometimes you can't make it on your own".

Un inaspettato senso di solitudine mi fece stringere il braccio di Mirko, portando il ragazzo a girarsi verso di me.

«Ehi», sussurrò. «Tutto bene?»

«Sì, scusa.»

Avrei voluto indirizzare le parole della canzone a lui, per fargli capire che poteva contare fino in fondo su di me, e allo stesso tempo a me stessa, perché la mia situazione, tra Entità a spasso per Milano e Guardiani del Cancello alleati di famiglia, era più complessa di quanto avessi immaginato, e non sapevo come fare a gestirla da sola.

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