Capitolo 17.1

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         La mia paura

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         La mia paura

Piazza Medaglie d'Oro era avvolta da un'aria fredda e sinistra, nonostante fosse illuminata dai raggi del sole che da giorni non avevano più fatto capolino tra le nuvole.

Alcuni coraggiosi filmavano con il loro telefonino mentre un gruppo di poliziotti ispezionava due macchine ferme in strada.

Tre ragazzi sostenevano di aver visto i conducenti frenare all'improvviso, scendere terrorizzati dai propri veicoli, e poco dopo, scomparire tra atroci urla dentro a turbinii di polvere scura.

«Kakodaimon», sussurrai a Mirko, mentre proseguivamo accanto al monumento di Porta Romana, intuendo che altre due morti sovrannaturali erano avvenute in città.

"E' tutta colpa di mia sorella", tenni per me, anche se lui sapeva, e quel pensiero mi spezzò ancora, facendomi scendere lacrime di vergogna.

«Non guardare.» Mirko mi tirò per un braccio, costringendomi ad accelerare il passo per stargli dietro, e imboccò Corso di Porta Romana. «Non serve a niente.»

La sua mano chiuse la mia in una stretta salda e protettiva, e io feci come mi aveva detto, concentrandomi solo su di lui.

Indossava un giubbotto scuro e un paio di pantaloni stretti color cachi, che gli stavano molto bene, ai piedi un paio di scarpe nuove, che avrebbe consumato in fretta a quella andatura.

Aveva insistito per accompagnarmi, quando mi ero decisa di avere un confronto con Giulia, pur sapendo che avremmo dovuto camminare per un tratto di strada in totale insicurezza, o quasi.

Cercava di apparire tranquillo, anche se avevo con me il pugnale magico e avremmo potuto doverlo usare in qualsiasi momento, ma io sapevo che non lo era. Non poteva esserlo.

La città diventava ogni giorno più spettrale, svuotata di persone e riempita di mostri, al punto che qualche Figlio della Natura si era già sentito in obbligo di usare la magia pur di salvare vite in pericolo.

I media avevano iniziato a trasmettere notizie di improvvise sparizioni e concomitanti comparse di orripilanti esseri, ipotizzando di forme di vita provenienti da altri pianeti, ma la verità era un'altra, ben peggiore, e io l'avevo chiara in mente.

Si chiamavano Dysdaimon, e anche se poteva sembrare scomodo da credere, erano quella parte di noi che non avremmo mai voluto conoscere, neanche nei nostri peggiori incubi.

Suonai il citofono di mia sorella, contenta di essere finalmente arrivata, ma quando il portone del palazzo si aprì, Mirko mi trattenne dall'entrare. Abbassò gli occhi, in difficoltà, poi mi superò, spingendo la porta d'ingresso e tenendomela aperta.

«Cos'hai?»

«Ho appena visto qualcosa», rispose, nervoso.

«Qualcosa?»

Avevamo percorso la stessa strada, e io non mi ero accorta di altro, oltre a quello per cui mi aveva esortata a non guardare.

«Non so come dirtelo.»

«Ti ha sconvolto», osservai.

«Quarto piano, ragazzi», s'intromise la voce di mia sorella dal citofono. «C'è un ascensore appena entrate sulla destra.»

Lanciai un'altra occhiata al ragazzo, ma lui, vago, mi fece cenno di andare.

Fu Giulia ad accoglierci sulla soglia con un sorriso di benvenuto. Era il suo modo abituale di sorridere, ma allo stesso tempo era anche fastidiosamente diverso rispetto a quello che aveva avuto nei miei confronti prima. La sensazione di disagio non migliorò quando per salutarmi mi strinse la mano in segno di pacata amicizia.

«In passato mi abbracciavi almeno due volte a ogni incontro», le feci notare.

«Ah, scusami.»

Ci fece accomodare su un divano di una modesta sala, mentre il suo fidanzato ci raggiungeva con due tazzine di caffelatte.

«Per gli ospiti.»

«Grazie, gentili», commentò Mirko, sedendosi accanto a me.

«Scusami di nuovo», riprese lei, guardandomi dispiaciuta. «Per gli abbracci mancati, e per tutto il resto. So di averti delusa e ferita, anche se non era mia intenzione. Ho sfogliato le foto che ci ritraggono insieme, e ogni immagine esprime il grande affetto che ci legava, solo che io... non lo sento.»

Un senso di scoraggiamento s'impadronì di me, e le lacrime minacciarono di scendere ancora. Alessandro mi posò una mano sul braccio, capendo quanto fosse dura.

«Mi dispiace», aggiunse mia sorella, rendendo definitivo il suo concetto. «Mi sento uno schifo di persona. Non ricordo volti importanti, conversazioni avute, esperienze condivise. Ne ricordo solo alcune, altre è come se non fossi stata io a viverle.»

«Ho raccontato a Giulia quante più cose possibili sulla sua vita prima che gli Zhao le modificassero la memoria, ma credo che per molte di queste ci sia bisogno del tuo aiuto.» ammise, Alessandro.

«Lo credo anche io.»

«Tu mi puoi aiutare a scoprire chi ero e come mai sono finita così?»

«Sì, posso farlo», la rassicurai. «E lo farò, insieme ai nostri genitori.»

"Sempre se riusciremo a sopravvivere" pensai, senza dirlo.

«So di non meritarmelo, Sofia. Non avrei dovuto permettere che mi rubassero i sentimenti oltre che i ricordi.»

"No, non avresti dovuto" avrei voluto rinfacciarle, ma sarebbe stato ingiusto.

«Sei stata attaccata da mezzi angeli e mezzi demoni. Il loro potere su un essere umano può avere conseguenze nefaste», giustificai.

«E' così, tu non avresti potuto farci niente», la rincuorò il fidanzato. «Nessuno avrebbe potuto. Loro non sono neanche di questo Piano.»

Mirko si alzò con un'espressione attenta, girò la testa verso un punto non lontano dalla televisione, e vi si avvicinò.

«Hai notato la foto», commentò Alessandro, affiancandolo. «Risale al giorno in cui le ho chiesto di sposarmi. Ora più che mai abbiamo bisogno di averla lì.»

Mirko continuò a contemplare qualcosa davanti a sé, che doveva incuriosirlo, ma anche preoccuparlo. Si voltò con occhi cupi verso di me, e la mascella gli si contrasse.

«So che è un pessimo momento, Sofi, ma c'è qualcosa che devo dirti.»

Che cosa vorrà dirle Mirko? A

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Che cosa vorrà dirle Mirko? A.I.U.T.O. Domani lo sapremo, teniamoci forte nel frattempo, e speriamo in bene per Sofia. La situazione a Milano è tutt'altro che semplice e sotto controllo, e presto... avremo un notevole faccia a faccia.

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