Capitolo 20.2

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Si riaprirono che era quasi mattina; la corda d'argento faceva brillare il mio petto di una luce rassicurante

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Si riaprirono che era quasi mattina; la corda d'argento faceva brillare il mio petto di una luce rassicurante.

Era il mio collegamento con il corpo, la mia comunicazione con la vita: a ogni viaggio astrale amavo la mia corda sempre un po' di più.

Era stata sul punto di rompersi, ma Mirko mi aveva salvata prima che avvenisse. La sua era stata una questione di secondi, di riflessi e di cuore. Senza il vantaggio di fermarsi a pensare, come avevo io.

Mi mancava Mirko, avrei voluto rivederlo. Sapere cosa gli stava facendo fare Injin. E se per caso si fosse stufato di lui e lo avesse liberato?

Attraversai il muro di pietra del castello, trovandomi subito sospesa su una distesa d'acqua, nell'aria intrecci di luce e nuvole dai caleidoscopici colori. Provai a orientarmi e a trovare Gurzuf, il piccolo posto in cui si era fermato Injin, ma non fu facile, non conoscevo niente della Crimea, non l'avevo nemmeno ben presente sulla cartina.

Girai in tondo, sbagliando direzione più volte, quando finalmente incontrai un gruppo di spiriti, e potei essere aiutata a gesti da loro.

Ne sorvolai il centro abitato, e quello che vidi dall'alto mi sconvolse. Ogni stradina vecchia era percorsa da almeno un mostro.

Un concentrato di Dysdaimon che non avevo visto nemmeno a Milano era qui. Inorridii al pensiero che Mirko si trovasse in quel covo di Paure tutto solo. Aveva il pugnale con sé o lo aveva perso quando Injin era entrato nel suo corpo?

Scesi sul lungomare, e per poco le grida che udii non mi perforarono i timpani astrali. Persone di diverse età venivano assalite a destra e a sinistra dalle loro grottesche creature; di loro non veniva risparmiato niente, neanche un vestito o un oggetto, restava solo il Nulla, e il loro povero spirito impaurito nell'altro Piano. Qualcuno di agile tentava di fuggire, correva e mi attraversava, ma non andava lontano. Non potendo superare la compatta barriera di mostri, era come se fosse già un cimitero vivente.

Ero orripilata, tremavo forte. Gurzuf si stava trasformando in una città fantasma. Quanto terrore, quanta disperazione, quanto male.

Voltai lo sguardo verso la spiaggia, e il mio cuore sembrò ricevere un affondo. In piedi sulla sabbia mista a pietraia c'era Mirko, che osservava la carneficina a distanza, e sorrideva.

Lui sorrideva! Come poteva sorridere? Il suo era un sorriso macabro e malato, che faceva apparire ancora più vuoti quei suoi occhi bianchi.

Odiai il loro colore.

Odiai che Mirko non fosse libero come speravo.

Odiai Injin dentro a Mirko.

Odiai Injin in generale.

Una nebbia che poteva possedere tutto, e che ora teneva un ragazzo sensitivo prigioniero della sua volontà. Uno Spirito subdolo, potentissimo, e manovratore. Un burattinaio annoiato, che godeva a far scomparire le sue insulse marionette per sempre.

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