18# "Non succederà mai Spence!"

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SPENCER REID POV:
Negli ultimi giorni riconosco di essermi chiuso a riccio nei confronti di Scarlett. Non so perché ma la relazione sua e di Anthony mi aveva destabilizzato. Aveva destabilizzato nella mia mente la mia routine. Non parlo di routine in mansioni da svolgere, ma routine nel modo di parlare, di porgermi con lei. Mi sentivo come frenato con un timore costante di non poter permettermi gesti o parole. Successe anche quando JJ si fidanzò con Will i primi periodi. Anche se, non riconosco il perché, questa volta era differente, era più calcato. Se avevo preso le distanze non era perché effettivamente volessi, ma perché mi sentivo chiuso in un circolo vizioso di pensieri creati solo e unicamente da me stesso. Quando successe con JJ ero molto più immaturo, avevo appena affrontato l'allontanamento di Gideon ed era un meccanismo di difesa per la paura che succedesse anche con lei. Con Scarlett era diverso, e non riuscivo a processare la cosa, le sensazioni. Erano le quattro e trentatré del mattino e stavo pensando a lei e questa situazione da precisamente quarantotto minuti e ventiquattro secondi. Venticinque.
La mia psicoanalista diceva che Scarlett ricopriva nella mia vita un ruolo simbolo di cambiamento, di evoluzione personale. Il mio approccio con lei era stato diverso perché era spinto dal mettermi alla prova per riscoprire un po' di quella che per tutti era una normalità, mentre per me era una novità. Lei non lo sa, ma Scarlett era una bellissima cavia. So che suona male detto così, ma io non gli davo una accezione negativa.
Durante queste notti facevo un incubo ricorrente, di un momento realmente vissuto con lei, con l'eccezione di un finale diverso.
Eravamo entrambi al poligono, io continuavo ad avvicinarmi al bersaglio, ma lo sfioravo di poco. Lei un giorno mi prese le mani, mi indirizzò e spiegò le dinamiche. Al mio riuscirci poi da solo lei mi face un grande sorriso dei suoi. Questa era la scena reale. Nel sogno invece, io non ci riuscivo. Lei poi rideva e improvvisamente appariva Anthony che la prendeva con se e si allontanavano ridendo di me. Avevo smesso di dormire da giorni pur di non sognare ancora quelle scene. Avevo paura che con il passare del tempo e il ripetersi del sogno, questo avrebbe potuto in qualche modo condizionare il mio modo di approcciarmi e vedere Scarlett.
Mi alzai dal letto visto la mia insonnia e mi preparai un caffè. Ne approfittai per terminare il rapporto del caso di Tijuana.
Avevo il cellulare di fianco e nonostante le prime ore del mattino in cui tutti ancora dormivano ero tentato dal chiamare Scarlett e chiederle di vederci.
Posai il cellulare e finii il rapporto.
Alle sei del mattino ero già lavato, vestito e pronto per andare a lavoro... peccato che mancavano tre ore.
Decisi di lasciarmi andare alla tentazione di chiamare Scarlett, ma lo feci solo dopo essere uscito, aver preso la colazione ed essere già davanti la porta di casa sua.
«P-pronto Spence! Che succede?» rispose Scarlett al telefono ancora addormentata.
«Mi prendi per pazzo se ti dico che sono sotto casa tua con la colazione?» risposi.
Lei agganciò direttamente e dopo due minuti e dodici secondi aprì la porta. Aveva il viso insonnolito ed era in pigiama.
«Mmh!» disse ancora addormentata. Suppongo che quel "mmh" stesse per "Entra pure" visto che con le mani mi indicò di entrare.
«Fai il caffè?» mi chiese Scarlett sedendosi su una sedia vicino al tavolo ed addormentandosi con la faccia nelle mani!
«Scusa, forse ti ho disturbato!» gli dissi bisbigliando e insicuro. Tutto avrei voluto tranne che disturbarla.
Lei si riprese dopo qualche momento, mi accennò un sorriso e scosse la testa come per dirmi di no.
Feci il caffè e le porsi la tazza. Fino a quel momento il silenzio era l'unica cosa che potevi ascoltare tra le quattro mura della cucina. Che ironia... ascoltare il silenzio, o meglio: un ossimoro. Dopo aver preso il caffè, lei si svegliò per bene e riprese colorito e vitalità. Erano le sei e ventinove.
«A cosa devo questo blitz in casa mia alle sei dei mattino?» mi chiese sorridendomi. Sembrava che non le pesasse. Mano male!
«Non riuscivo a dormire!» le risposi.
Lei sorseggiando il caffè scosse la testa chiedendo perché.
«Faccio un incubo da qualche settimana a questa parte, è ricorrente!» Le risposi abbastando sguardo e capo e fissando il caffè.
«Che incubo?» domandò.
Non sapevo se raccontarle tutto. E se avesse compromesso il nostro rapporto? Rimasi in silenzio.
«Mi riguarda vero? Altrimenti perché essere qui alle sei del mattino!» Sentenziò.
«Ti ricordi quella la prima volta che siamo andati al poligono?» le chiesi.
«Mmh..» sorseggiò il caffè e continuò. «Quando ti sei innervosito perché sfioravi sempre di qualche millimetro il bersaglio?» chiese.
«Alla fine di quella giornata, io ci sono riuscito grazie a te. Abbiamo sorriso e abbiamo continuato poi il pomeriggio al caffè letterario!» Argomentai io.
«Si, ricordo!» Replicò lei.
«Nel sogno... nel sogno io non ci riesco. In quel momento appare Anthony ed entrambi ridete di me e vi allontanate continuando a farlo!». Glielo raccontai ma abbassando la testa. Mi sentivo umiliato dalle mie parole stesse, mi sentivo disadattato in quel momento, inopportuno. Mi passai una mano dietro al collo come tic nervoso.
Lei non rispose. Poggiò il caffè sul piano di marmo della cucina e pian piano si avvicinò a me. Si sedette sul piano aiutandosi con le braccia e mi tirò a se dal gilet, e mi abbracciò forte.
«Mai, Spence! Non succederà mai!» mi disse con la testa poggiata al mio petto. Io ero fermo come un stoccafisso, non sapevo che fare, l'unica cosa che mi venne da fare fu quella di seguire le sue gesta ed abbracciarla anche io insicuro sul da farsi.
«Che riderai di me?» chiesi.
«Che me ne vado via! Che sia a causa di un'altra persona o no!».
Dopo quella sua frase avevo uno strano subbuglio nello stomaco e non capivo cosa fosse. Potevo sentire il suo battito. Non era per niente regolare, come il mio d'altronde.
«Vado a prepararmi, okay?» mi disse provando a staccarsi da me.
Impacciato io capii qualche secondo dopo che avrebbe potuto farlo solo se io avessi smesso di abbracciarla.
«Si, scusa.. vai! Ti aspetto qui!» le risposi.

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