Capitolo 13

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Avevo bevuto tanto, troppo. Eppure non riuscivo a fermarmi, continuavo a buttare giù alcol e lo sentivo bruciare giù per la gola fino in fondo allo stomaco. Ma non avevo intenzione di fermarmi, perché tutti i rapporti che credevo essere sinceri hanno un secondo fine? Jace mi ha sposato per tenersi suo figlio, anche se poi dopo ci siamo 'innamorati': la rabbia nel mio corpo mi faceva dubitare anche di questo. Andy lavorava con me perché gli piacevo, mia madre stava con me perché io potevo badare a Dallas, mia sorella, mentre lei andava a sperperare soldi non suoi in poker e macchinette mangia soldi. La mia stessa sorella mi sopportava solo per non essere picchiata da mia mamma che a quel tempo era parecchio squilibrata.

Tutti i rapporti che avevo intessuto nella mia vita erano semplicemente delle enormi farse con dentro una briciola di verità: é per questo che volevo fare teatro. Nel teatro si finge la realtà e tutti ne sono consapevoli, nella realtà si finge e solo qualcono se ne rende conto. "Signorina, il locale sta per chiudere..."

Impossibile -pensai- sono arrivata qui alle tre del pomeriggio,  non può essere già notte inoltrata.

Purtroppo invece quando uscii dal locale in cui mi ero infilata mi accorsi del buio che regnava fuori, più buio del mio cuore. É brutta la tristezza, é come una dipendenza, non te ne sbarazzi mai. Non so neanche perché ma mi accasciai al suolo tramortita da quello che avevo vissuto, mentre affogavo lentamente nel mio passato che improvvisamente sembrava ripresentarsi. I rapporti strani, l'alcol,  la depressione, il vuoto immenso nel petto. Tutto quello che avevo provato ad allontanare da me con un solido muro stava facendo irruzione distruggendo e radendo al suolo le mie certezze. Mentre ero accasciata a terra sentii vibrare il cellulare, risposi senza guardare il numero.

"Demi!" la voce di  Jace mi invase "Dove cazzo sei stata fino adesso? Torna a casa, ti prego Chris é disperato gli ho raccontato che sei andata da tua madre. Abbiamo bisogno di te." "Sono stanca..." "Appena arriverai a casa potrai riposarti, torna dai...dimmi dove sei, ti vengo a prendere." "Sono stanca, Jace...perché devo sempre rovinare tutto?" "Ma amore, non hai rovinato nulla...dove sei?" "Scusa, tornerò a casa tra un po'...ho bisogno di stare da sola..." "E dove dormirai? Dove..." staccai la chiamata prima che potesse continuare, non avevo bisogno di sentire le sue prediche. Avevo capito cosa fare: quando il passato ti si ripresenta davanti devi affrontarlo, in un modo o nell'altro.

"Mamma..." sussurrai con un filo di voce "Chi parla? Demi...ehi, sei tu?" piansi silenziosamente sperando che mia madre non mettesse giù la chiamata. "Mamma..." sussurrai di nuovo quando smisi di piangere.  "Sono qui, Demi, sono qui." "Mamma, come stai? Come sta Dallas?" "Stiamo bene tesoro, ma tu? Tu piuttosto come stai?" "Sono sposata mamma..." sussurrai con un filo di voce,  non li avevo neppure invitati al mio matrimonio, che razza di figlia sono?  "Sono così felice per te!" esclamò mia mamma singhiozzando "E com'é lui? Ti tratta bene?" annuii pur sapendo che non mi poteva vedere, non riuscivo a parlare dall'emozione. "Perché mi hai abbandonato?" mi chiese ad un tratto mia madre. Sussultai, non avevano ricevuto la mia lettera?

"Non avrei mai voluto abbandonarti, mamma...non avete letto la mia lettera?" "Non ci é mai arrivata nessuna lettera, tesoro. Niente di niente, abbiamo creduto che ci odiassi..." "No,no, no!" urlai io per contraddirla, come possono aver creduto che io le odiassi?

"No, non vi ho mai odiato...é che con i miei problemi non volevo buttar giù anche voi..." "Ma amore, noi eravamo la tua famiglia! Potevamo aiutarti!" "Voi potevate controllare i miei scatti di rabbia quando ero ubriaca?" piansi ricordando il doloroso passato "Voi potevate evitare che mi facessi del male, che tentassi il suicidio quando non avevo un po' di cocaina in corpo?" sospirai "Non avreste potuto costringermi a mangiare quando volevo rendere il mio corpo uno scheletro, non potevate impedirmi di iniettarmi quelle schifezze...mamma, ho fatto delle cose di cui mi pento e non volevo coinvolgervi." "Dove sei ora?" "A New York." "Dove vivi?" "Prima stavo da mio marito, sta notte starò  su una panchina...l'ho già fatto, non é così male..." "Io e Dallas stiamo arrivando!" esclamò mia mamma al telefono mettendo poi giù. Da Albuquerque a New York saranno almeno sei ore di volo, pensai coricandomi su una panchina nel piccolo parco davanti al locale dove avevo trascorso il pomeriggio. Domani le vado a prendere in aereoporto. Pensai prima di cadere in un sonno nero e senza sogni.

Ero qui che le aspettavo, non vedevo l'ora di vederle scendere dal gate per abbracciarle, mi erano così tanto mancate in questi tre anni... Finalmente vidi una donna dai corti capelli scuri e una ragazzina anch'essa mora camminare verso di me e mi illuminai notando che la ragazzina era Dallas: la piccola bambina che accudivo e che la donna era mia madre con qualche capello grigio in più ma sempre bellissima. "Mamma!" urlai correndo ad abbracciarle, le due si chiusero a me in una sorata di agglomerato umano con cui riempimmo tutti gli anni persi. Mia madre mi baciò sulle guance un miliardo di volte mentre mia sorella semplicemente continuava a piangere e ad abbracciarmi.

Due ore dopo eravamo in un ristorante nell'Harlem, un posto economico dove spesso avevo mangiato, per parlare. "Ora Demi,  vogliamo solo la verità.  Niente più bugie, nessuno di noi scapperá più dai problemi. Dobbiamo sapere." io mi schiarii la voce, improvvisamente il panino non mi andava più e la mia gola era secca come il deserto. Neanche un litro di acqua fresca avrebbe potuto farmi parlare normalmente. "Non so da dove cominciare io..." Dallas guardandomi compassionevole sussurrò "Dall'inizio. Abbiamo molto tempo..." Io presi un respiro profondo e cominciai a raccontare.

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Oggi di nuovo era la solita tortura: dovevo andare a scuola e come sempre sarei stata presa in giro da tutti per il mio peso. Entrai con la testa bassa nella scuola sperando che nessuno mi notasse e soprattutto che nessuno mi picchiasse. La parte peggiore era l'entrata, una volta raggiunta la classe potevo  restare lì tutta la giornata: nessuno mi avrebbe toccata. Ma all'entrata ero semplice carne fresca per i bulli e anche per chi normalmente era  una persona simpatica ma si accaniva solo contro di me. Sfortunatamente quella mattina non raggiunsi la classe.  Avevo diciassette anni e da due avevo smesso quasi completamente di mangiare, per rimpiazzare il cibo punivo il mio corpo tagliandolo e picchiandolo per non essere perfetto come io lo volevo.

"Ehy, Lovato! " mi urlò un ragazzo dietro le mie spalle, sapevo cosa sarebbe successo,  ma continuai a fissare il pavimento velocizzando il passo. "Lovato!  Perché scappi,  siamo dei bravi ragazzi, cosa potremmo mai farti?"

Potreste uccidermi di botte, violentarmi a turno,  umiliarmi ancora di più.  Pensai

"Eddai bambolina! Non ti facciamo niente, vogliamo solo parlare!" Non mancava molto all'entrata della mia classe,  ancora venti metri e sarei stata salva per un'altra giornata. Ovviamente quando trassi un respiro di sollievo una mano rude e poco gradevole afferrò malamente il mio braccio  facendomi male. Sapevo che mi sarebbe rimasto un livido; l'ennesimo. La mano rude mi condusse fino all'uscita in un angolo buio dove potevano insultarmi e picchiarmi fino alla stregua delle mie forze senza che nessuno se ne accorgesse. Quellla giornata però il destino mi mise di fronte qualcosa di diverso, o meglio, qualcuno di diverso. Mentre quei quattro bulletti mi stavano picchiando arrivò un ragazzo: alto, moro, dal fisico prestante. Si chiamava Stephen. Non so per quale maledetto motivo quel ragazzo mi salvò dai quattro teppistelli per mettermi in un pasticcio molto più grande. A quel tempo ero magrissima, avevo smesso di mangiare da quasi due anni e ormai ero ridotta ad un mucchietto di ossa e pelle avvizzita. Avevo perso tutto quello che potevo, anche la mia faccia era scavata e magra come mai la vorrei più.  Non so neanche per quale fottutissimo motivo Stephen, un ragazzo di quattro anni più grande di me, quel giorno decise di aiutarmi. Non faceva neanche parte della nostra scuola, andava già all'università.  O almeno questo é quello che mi disse perché io non lo vidi mai andare a scuola: neanche un giorno.  Comunque allora non potevo immaginare tutti i casini che Stephen avrebbe apportato alla mia vita e gli fui semplicemente grata. Gli saltai addosso e lo ringraziandolo come se fosse l'incarnazione vivente di Dio in persona, ma lui non era Dio: lui era il diavolo vestito da un bellissimo angelo moro.

Shakespeare Theatre// Demi Lovato  !IN STATO DI REVISIONE E CORREZIONE!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora