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Claire tornò in albergo in taxi.

La scelta era restare lì e guardarli strusciarsi in piscina dinanzi ai suoi occhi increduli o scappare via come una bambina ferita. Decise di fuggire, ne aveva avuto abbastanza, era troppo da digerire.

Quando arrivò in camera, si gettò sotto la doccia tentando di lavare via quanto aveva visto: loro due vicini, le mani di lei tra i suoi capelli.
Era disgustata, si mise a letto ma senza chiudere occhio. Restò in pigiama, seduta a fissare un punto impreciso dinanzi a sé, come assorta.

Non riusciva a pensare ad altro: come si era trovata lì, come era arrivata a quel punto della sua vita. Che decisioni sbagliate aveva preso? Quale esattamente era stato il punto di svolta affinché tutto andasse così male? Probabilmente quando aveva deciso di rispondere male ad Harry la prima sera al ristorante. Sicuramente quando gli aveva permesso di far passare quel dannato cubetto di ghiaccio tra le sue gambe in un aereo gremito. Oppure forse direttamente quando aveva accettato il lavoro all'CHS, era iniziato tutto li.

Era notte ormai ed erano almeno due ore che ripercorreva gli ultimi sei mesi di vita, tenendosi le ginocchia strette al petto, con lo sguardo assente puntato nel vuoto.
Il pensiero di quanto stesse succedendo in quella casa poco distante da lei le dilaniava il petto dalla gelosia; eppure, era impotente, non poteva far altro che lasciarsi travolgere da quelle emozioni e fissare il vuoto.

Sussultò quando - nel silenzio totale in cui era immersa - sentii qualcuno bussare alla sua porta e poi una voce inconfondibile che la chiamava.

"Claire?".

Il cuore prese a batterle fortissimo nel petto, mentre portava lo sguardo sulla porta alla sua destra.
Era lui.

"Sei sveglia?".

Controllò brevemente l'ora, era 00:27. Perché avrebbe dovuto essere sveglia in piena notte? E soprattutto perché lui era lì?

"Claire... puoi aprire la porta per favore?".

No, non posso. Anzi, io non devo aprire la porta e lasciarti entrare ancora in questa stanza e nella mia vita. Claire si alzò silenziosamente dal letto, attenta a non fare nessun tipo di rumore e si avvicinò alla porta, guardandolo attraverso lo spioncino. Harry era ancora vestito come la sera e si passava nervosamente la mano tra i capelli tenendo la testa bassa: era così bello che le faceva male, le provocava un dolore sordo al petto per la quale non c'era alcuna cura.

Chiuse gli occhi un istante e respirò profondamente. Si sarebbe fatta male, di nuovo, lo sapeva.
"Cosa c'è Harry?".

Il ragazzo era quasi certo che lei stesse dormendo e non avrebbe risposto alle sue parole quindi alzò di scatto la testa appena sentii la sua voce, meravigliato. "Sei sveglia" mormorò, come per esserne certo.

"Si".

"Puoi aprire la porta?".

Io vorrei tanto aprirla, Harry, ma questa porta che c'è tra noi è l'unica cosa che divide i tuoi occhi verdi dal mio cuore sofferente. E se io la apro, se io ti lascio entrare un'altra volta, finirò per esondare ancora, travolgere tutta la mia razionalità come di solito succede quando sto con te e affogare nel mare dei miei sentimenti.
Ecco perché deve restare chiusa.
Avrebbe dovuto dirgli tutto questo ma si limitò a qualcosa di più conciso. "Sono stanca. Hai bisogno di qualcosa?".

"Ho bisogno di te".

Claire poggiò la fronte contro la porta e chiuse nuovamente gli occhi. Perché doveva rendere tutto così difficile? "Vai a letto, Harry. È tardi". Non era neanche più arrabbiata, si sentiva solo incredibilmente stanca di urlare, di sbraitare, di lottare a causa di quei sentimenti che provava per lui.

THE APPLE OF MY EYES [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora