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"Si, Mamma, certo che sto mangiando".

Claire percorreva i corridoi della CHS di fretta, mentre parlava al telefono con la madre. Doveva trovarsi dall'altro lato della città in meno di 20 minuti e solo quella mattina Madison si era ricordata che aveva bisogno di alcuni documenti fondamentali prima dell'incontro che era stato fissato con il cliente. Quindi, Claire aveva dovuto prepararsi in fretta e passare in ufficio a ritirare quanto Madison le aveva richiesto prima di recarsi all'appuntamento. Era quindi - ovviamente - in ritardo ma non poteva ignorare di nuovo le chiamate di sua mamma altrimenti avrebbe probabilmente chiamato la polizia.

"Certo che dormo, dormo moltissimo Mamma".

Non era vero. Dormiva poco e male. Stava lavorando troppo e aveva così tanti pensieri per la testa che la notte spesso non chiudeva occhio per ore, si addormentata sfinita all'alba e dopo poco suonava di nuovo la sveglia. Ma questo sua madre non doveva saperlo.

"Papà si sbaglia, sto benissimo".

Suo padre aveva invece ovviamente ragione, non stava bene e lui l'aveva capito da quelle poche, pochissime parole che si erano scambiati nell'ultimo mese. Claire si sentiva sempre stanca, a pezzi, come se avesse appena finito di fare qualcosa di molto faticoso.

Quando arrivò al 36esimo, vide che c'era più trambusto del solito ma non ci fece molto caso; superò un po' di persone mentre si dirigeva rapidamente verso l'ufficio di Madison e contemporaneamente ascoltava la solita ramanzina di sua madre sull'importanza del ritmo biologico.

"No, non mi sono dimenticata del compleanno di Zia Josephine, la chiamerò sicuramente per...".

Le parole le morirono in gola mentre vedeva il motivo di tale confusione all'ingresso della caffetteria del 36esimo.

"Mamma ti devo lasciare".

Attaccò il telefono prima che la mamma potesse risponderle, lamentandosi del suo modo brusco di concludere le conversazioni.

Davanti a lei, dopo due mesi di assenza, c'era Harry Styles.

Claire rimase con il telefono a mezz'aria e la bocca semi aperta, mentre fissava il ragazzo davanti a sé come se avesse appena visto un fantasma.

Era davvero lui, era davvero li.
Doveva ammettere che ci aveva sperato spesso nel suo ritorno, se l'era immaginato, aveva pensato alle parole che avrebbe usato in tal caso e a come l'avrebbe guardato male. Aveva anche sognato le scuse che lui avrebbe potuto inventare per giustificare la sua lunga, lunghissima assenza e quel silenzio ingombrante; in realtà, nessuna scusa reggeva, neanche le più fantasiose.
Aveva immaginato quel momento per giorni e ora che era lì, in carne ed ossa, non sapeva che fare. Sentiva solo il cuore palpitare e il cervello andare in tilt.

Claire si rese conto di essere rimasta immobile e impalata in mezzo al corridoio a fissarlo. Harry sorrideva a qualche metro da lei nella caffetteria del piano, circondato da alcuni colleghi che gli chiedevano informazioni su come stesse, cosa avesse fatto, dove fosse stato.
Era abbronzato, segno che le notizie sulla sua fuga su quello yatch erano vere; il cambiamento più evidente erano i capelli che gli erano cresciuti tantissimo, quasi fino a toccare le spalle e gli donavano un'aria un po' cattiva. Indossava solo una camicia bianca, leggermente aperta, che faceva risaltare anche di più il colorito naturale dovuto al mare.
Era bellissimo, tanto che a Claire mancò il fiato.

Poi, per un istante, in mezzo a quella folla di persone che lo circondavano e sembravo davvero interessante alla sua vita, Harry incrociò lo sguardo di Claire, rimasta indietro, immobile e in disparte. Fu solo un attimo, non di più, poiché lui distolse immediatamente lo sguardo, continuando a parlare con i ragazzi dinanzi a lui e ignorando totalmente la sua presenza. 

THE APPLE OF MY EYES [H.S.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora