Il Cavalier Romualdo Dall'Osso è una delle persone più insopportabili che conosco. Però è anche il fondatore, presidente e proprietario della SALGAM SpA, uno dei principali clienti del mio studio.
E quindi mi tocca sorbirmi il suo sproloquio senza senso, assieme ai miei collaboratori, che ormai va avanti da quaranta minuti buoni.
Ogni tanto annuisco e sorrido, mostrando apprezzamento per quello che dice mentre penso agli affari miei, sperando che il supplizio finisca presto.
Il Cavaliere è seduto a capotavola nell'angolo riunioni del mio ufficio. Io sono di fronte a lui, ed i miei due collaboratori, Edoardo e Sabrina ai due lati.
Il Cavaliere sta per deliziarci con il suo cavallo di battaglia, il suo progetto di riduzione della tassazione sui redditi aziendali per incentivare gli investimenti, quando improvvisamente rimane in silenzio.
Dalla stanza accanto arrivano le voci di Monica, la segretaria, ed un'altra voce femminile.
Il tono della voce di Monica si fa più acuto. Direi che è sul punto di urlare.
La porta dell'ufficio si apre, facendo filtrare un "Le ho detto di non entrare!" e regalandoci l'immagine del profilo della figura di Francesca.
Rimane in silenzio, sulla porta, le mani incociate sull'abitino giallo, quasi a voler coprire, senza successo, la scollatura abissale che punta direttamente alle sue mutandine.
Sorrido pensando che conoscendola non scommetterei un euro sul fatto che le indossi davvero.
Approfitto del momento prima che il Cavaliere finisca di squadrarla dalla testa ai piedi per l'ennesima volta.
"Cavaliere mi perdoni, mi sono lasciata prendere dalla piacevolissima conversazione ed ho sforato i tempi della riunione. Mi spiace ma ho un impegno con la signora".
Il Cavaliere si alza, bofonchia una mezza scusa, raccoglie i fogli sparsi davanti a sé e emette un suono che sembra essere un saluto, dirigendosi verso la porta.
Esce con lo sguardo di chi si chiede di quali affari dovrò mai parlare con una cliente come quella lì.
Faccio cenno ai miei di lasciarci sole.
Escono e Francesca chiude la porta alle sue spalle.
Mi sorride, si avvicina, ed incolla le sue labbra alle mie.
"Ciao sorellona! Credevo di averti avvisata, ma evidentemente...".
Con una smorfia del viso le faccio capire che non ha nulla da farsi perdonare, anzi, che le sono grata per avermi liberata dal Cavalier Dall'Osso.
"Mina dobbiamo andare. Non abbiamo molto tempo. Eh, sì, credo di non averti detto neppure questo. Devi prepararti."
Fra le sue mani è apparsa una grossa borsa. E dopo poco sul divano appaiono un abito nero ed una giacca di pelle rossa.
E poi le mie scarpe rosse tacco 12. Sì, quelle che sono diventate le mie scarpe rosse. Mi chiedo come abbia fatto a prenderle da casa mia.
"Ne ho comprato un altro paio, sono identiche alle altre."
Si muove lentamente misurando a passi decisi il mio ufficio. Accende tutte le luci ed apre la tenda che copre l'ampia vetrata che dà sulla strada trafficata, tre piani più in basso.
Rimane in silenzio, con un sorriso enigmatico stampato sul viso.
E capisco. Capisco che il suo non è un ordine. Mi sta solo chiedendo di fare quello che io desidero davvero fare adesso.
Vado verso la vetrata. Guardo le figure lontane delle persone che si affrettano nella luce del tramonto.
Sfilo le scarpe.
Faccio scivolare la zip che chiude l'abito sulla schiena e lo lascio scivolare a terra.
Mi volto verso la vetrata. Sgancio la chiusura del reggiseno e me ne libero. Mi avvicino alla vetrata, sino a sentire con le punte dei capezzoli il tocco freddo del cristallo.
Osservo le luci del palazzo di fronte. Le ombre che si muovono dietro i vetri. E tolgo le mutandine.
Il mondo continua a correre ai miei piedi, apparentemente incurante delle mie mani che accarezzano e distendono la seta delle mie autoreggenti.
Mi volto, disegnando sul vetro il contorno delle mie natiche, le gambe aperte, quasi a voler mostrare a tutti, ed a lei, il desiderio di sentirmi desiderata, adorata.
Con una mano accarezzo i capezzoli, poi scendo sul ventre e giù a cercare conferma della eccitazione che mi ha invaso.
"Sorellona, io avrei altri programmi per la serata. Ma, se vuoi..."
Mi stacco dal vetro. Vado verso di lei. La abbraccio incollando le labbra alle sue e schiudendole con la mia lingua. Che presto trova la sua, vogliosa di un abbraccio quanto il suo corpo.
Mi stacco da lei, guardo gli abiti sul divano.
"Mina, direi che per stasera mutandine e reggiseno sono di troppo".
La cingo di nuovo con un braccio, la bacio ancora. E stavolta la mia mano scivola sotto il lembo del suo abito, fra le cosce, e le dita accarezzano la sua voglia piacevolmente bagnata.
Sì, ho fatto bene a non scommettere. Non le indossa.
Mi aiuta a infilarmi nell'abito nero, corto. Quasi identico al suo, a parte il colore. Alla scollatura sul davanti si accompagna una profonda apertura sul dietro che credo lasci intravedere un accenno del solco del culetto.
Infilo le scarpine e la giacca.
"Sei semplicemente stupenda sorellona. È ora di andare."
Apro la porta ed mi avvio verso l'uscita, seguita da Francesca, un passo dietro di me.
Passo davanti allo sguardo sconcertato di Monica, che ricambio con un sorriso sfolgorante.
"A domani Monica. Potrei arrivare un po' più tardi domattina".
Rimane a bocca aperta.
Il suo "Non si preoccupi dottoressa! A domani!" mi raggiunge mentre sono già sul pianerottolo in attesa dell'ascensore.
Non so nulla del programma della serata, ma so che è quello che voglio io. Francesca sta solo esaudendo un mio recondito desiderio.
La porta dell'ascensore si apre a piano terra mentre sto finendo di leccare il succo dolce e profumato di Francesca dalle mie dita.
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Mina
Cerita PendekMina, una donna. Due coppie di amici. L'amica più giovane che la spinge a prendere coscienza del proprio corpo e della sua voglia di vivere ancora. L'inizio di un percorso alla riscoperta di sé