Trattative

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Dabih era riuscito ad accettare molte cose: aveva appurato di non valere lo sputo degli eroi delle leggende, che molti popolani gli erano marzialmente superiori e che suo padre era morto inutilmente. Ma faceva fatica ad accettare di essere inferiore a quella manica di imbecilli.

Atlas, uno dei tanti omonimi dell'ultimo grande Alioth - Dabih ne aveva contati cinque e aveva stimato che, insieme, avrebbero potuto fare la metà del suo cervello - prima lo aveva coinvolto in uno sgradevole combattimento tra protetti, poi in una prova di equilibrio.

Uno a uno, i giovani rampolli avevano camminato sulla ringhiera di uno dei ponti che collegava gli edifici in cristallo. A ogni turno, ciascuno di loro tracannava un sorso di vino al basilisco. Dabih era stato abbastanza furbo da portarsi una pasticca al moly per eliminare l'effetto dell'alcool, altrimenti sarebbe già crollato come i due ebeti che ridevano istericamente.

Il vento soffiò potente, sbilanciando Atlas e rischiando di farlo cadere, ma questi, dopo aver finto terrore, generò una vampata che lo riportò in equilibrio.

«Hai barato!» protestò un giovane lord saltando sopra alla ringhiera a propria volta.

«Ah, non sei stato tu?»

I due si scambiarono un paio d'incantesimi di vento e fuoco. Dabih non sarebbe mai stato capace di usarli, e nemmeno di muoversi con la loro agilità. A giudicare dagli sguardi annoiati che avevano mantenuto ai festeggiamenti, o erano degli attori formidabili, oppure degli idioti che non comprendevano la loro situazione. "E io sono peggiore di loro?"

Quando fu di nuovo il suo turno guardò nel vuoto e deglutì: il ponte era sospeso a decine di iarde da terra, e, visto dall'alto, avrebbe dovuto rappresentare una parte della lancia di un guerriero. La caduta non lo avrebbe dovuto uccidere, ma sarebbe stata umiliante.

«Ehi, Dabih» lo sbeffeggiò Atlas. «È vero che ti sei cagato addosso, davanti all'Imperatore?»

"Che linguaggio da plebeo" pensò. «Ero intimorito dalla sua grandezza, lo ammetto, ma almeno mi ha degnato delle sue attenzioni, a differenza vostra!»

Atlas poggiò la mano sulla ringhiera. «Io ho già un accordo di matrimonio con una Mizar, tu?»

«Lo sai che ti schiaccerà con un dito?»

Atlas scrollò le spalle. «E anche se fosse? Sarà lei a occuparsi di tutto. Io dovrò solo fare sì con la testa e ingravidarla».

"Nemmeno il tuo nobile nome basta a compensare la tua testa vuota". «Non pensi alla gloria del nostro casato? Cosa penseranno i nostri avi?»

«I nostri avi hanno fatto la loro parte per permetterci di vivere nel lusso. Sarebbe sciocco non approfittarne».

Gli altri Alioth risero e Dabih strinse le labbra. Di colpo gli mancò la compagnia di Ain. «Oh, si è fatto tardi e il tempo sta cambiando».

«Senti la pioggia? Sicuro che non sia sudore?» ghignò Atlas mentre il vento gli agitava i capelli color grano.

«La vostra compagnia è deprimente» sbottò Dabih. «Con della gente come voi, non c'è da stupirsi che siamo sull'orlo del baratro!»

Atlas cambiò espressione. «Un tuono deve aver alterato la tua voce, che cosa hai detto?»

Dabih maledisse la sua lingua e il vino che lo aveva reso ciarliero. «Intendevo dire che, date le condizioni del nostro casato e regno, dovremmo...»

«Ti credi migliore perché parli elegante?» lo denigrò Atlas. «Lo fai per nascondere la tua paura. Sicuro che tua madre non si sia scopata tuo zio? Somigli più a quel codardo!»

Quello era troppo. «Come osi? Ritira quello che hai detto!»

Altas balzò sulla ringhiera con arroganza. «Altrimenti?»

L'avvento dell'ImperatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora