Rivelazioni

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Acrux, Mintaka e i soldati avevano cavalcato per tutta la notte. La giovane lady non aveva più parlato della necromanzia, pur non essendo disposta a rinunciarci. Acrux era stato schivo, per cui ne avrebbe parlato con lord Muliphein.

Arrivati alle porte di Alcyone, le fidate sentinelle aprirono le porte alle loro figure incappucciate.

Il primo quartiere era misero: i bambini lavoravano con gli adulti, i volti smagriti, gli abiti sporchi e laceri. Un anziano dai capelli lunghi e ispidi e dai denti marci si avvicinò protendendo le mani. «Miei signori, fate la carità». Uno dei soldati di guardia gli puntò contro la lancia.

Mintaka ebbe un tuffo al cuore e temette un attacco prima di rinsavire. La dura ma sicura Korban le faceva dimenticare la povertà che affliggeva le fasce inferiori. Senza sapere quanto avrebbe cambiato della sua vita, gli lanciò una moneta d'argento. Fare di più era vietato dalla legge e un popolano così misero avrebbe dovuto dimostrare da dove fosse spuntato il denaro. «Grazie, miei signori, grazie» salutò il vecchio prima di correre via. A quella scena i bambini mollarono i loro attrezzi e assediarono i cavalieri. «Fate la carità, generosi sovrani!» «Mia madre è malata!» «Mio padre è morto!» «Mio fratello è al fronte!»

La lady tirò le redini mentre decine di bambini dai volti sporchi protendevano le mani verso di lei, per nulla spaventati dalle cavalcature. Il vociare ne stava attirando altri.

Acrux schioccò le dita e delle vampe vermiglie scaturirono dalle sue mani. I bambini si dispersero come un gregge di pecore e tornarono al lavoro. «Non hai sentito che quel vecchio puzzava di alcool?»

Mintaka, mossa a compassione delle sue condizioni, non ci aveva prestato attenzione. «Sono desolata».

«Lo uccideranno appena saremo passati oltre. Che ti faccia da insegnamento: rifletti sempre, prima di aiutare». Terminato il loro momento intimo Acrux era tornato ciò che tutti volevano vedere: un astuto e potente Imperatore.

Proseguirono per i due quartieri mediani, più puliti e prosperi. Molta gente si girò a guardarli, incuriositi dai qilin che solo i Mizar di alto rango potevano cavalcare.

I quartieri divini erano qualcosa di diverso che stimolava le fantasie di Mintaka sulla sua fortezza personale: per prima cosa i doccioni dovevano richiamare dei draghi non-morti, i pomelli avrebbero ricalcato dei volti urlanti, il corpo di guardia doveva essere composto da scheletri dalle armature improbabili volte a intimorire, e... e avrebbe dovuto aggiungerci un po' di colore. Che ci fosse un modo per colorare le ossa e dare un po' di vitalità? Magari ognuno di un colore diverso in base alle funzioni, così non si confondeva. Avrebbe potuto nominarla un cimitero pieno di vita o gioiosa catacomba.

Un plotone a cavallo venne loro incontro, distogliendola dal suo progetto architettonico. «Lord Muliphein!»

«Mio Imperatore!» salutò il guerriero. «Vedo che siete giunto con una gradita compagnia».

Mintaka smontò mentre un guerriero portava via la cavalcatura. «Lord Muliphein, accompagna lady Mintaka» ordinò Acrux, solenne. «I miei saluti, sorella. Lode alla Dea!»

La lady ricambiò. Lo osservò mentre si allontanava: più alto degli altri, il portamento fiero, i nobili che si spostavano e inchinavano, i soldati che si battevano il pugno sul cuore. Sovrano dell'Impero e intrappolato dalla rigida etichetta.

Muliphein fece il saluto. «Sorella, che gioia rivederti!»

«Eccellere...» Mintaka si morse la lingua, poi lo abbracciò e gli appoggiò la testa sulla spalla. «Mi sei mancato, fratello!»

Muliphein rise. «Da quanto ne avevi bisogno, sorellina?»

Mintaka respirò profondamente. «Tanto. Non ne posso più di Korban e Alnilam!»

L'avvento dell'ImperatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora