L'attacco

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Zadok, conclusa l'assemblea con l'Imperatore, era tornato a organizzare le difese cittadine.

Lo scontro imminente lo turbava ed eccitava al tempo stesso. Un cocito. Lo stesso che aveva distrutto Regulus.

Rigirò la piuma tra le mani. Le viverne non avrebbero retto la presenza di quel mostro, così com'era accaduto trent'anni fa.

Che folle era stato il re di Regulus. Tracotante e ambizioso, aveva sfidato la Dea e dato vita a una nuova specie di viverne incrociando le più feroci. Dinnanzi al cocito, però, si erano comportate come tutte le altre.

Regulus, Regulus, Regulus. Quel maledetto nome che lo spingeva avanti. Un nome che era secondo solo a quello della Dea e di fronte a cui le vite degli uomini mandati a morire diventavano un sacrificio necessario.

Un fremito lo percosse, strinse la penna e la ruppe. La sua mano stava tremando. Respirò con affanno, si alzò, barcollò e cadde, rovesciando la sedia.



L'ambiente circostante mutò. Vide un infante che rideva e teneva tra le mani un cavallo di legno con un piccolo corno smussato. Lo alzava e lo faceva volare sopra alla propria testa.

Vicino a lui, un uomo dall'armatura ambrata lo guardava con un sorriso. Non era una figura imponente o bella, ma per il bimbo era un eroe. "Padre".

Un ruggito. Il bambino lasciò il giocattolo, si levò e corse, piangendo, tra le braccia del padre. Il genitore lo strinse e il bimbo lo sentì tremare e ansimare.

Perché aveva paura? Lui non doveva averne, era invincibile!

«Andrà tutto bene» gli sussurrò il genitore stringendolo. C'erano poteri dinnanzi a cui i mortali erano bambini, che fossero avvolti dalle fasce o da una fulgida armatura.

Un altro ruggito, più forte, più vicino. Non c'era nessuno che potesse proteggerli. L'unica salvezza era nella fuga.

Il padre scoccò uno sguardo alla finestra, poi iniziò a correre. Il bambino chiuse gli occhi, cercava rifugio tra quelle braccia, ma non poteva trattenere il terrore. "Salvami, padre!"

Il vetro andò in frantumi e l'uomo atterrò su un tetto. L'infante ebbe per un istante il coraggio di alzare la testa. Dove si aspettava di vedere valorosi guerrieri intenti a proteggere la gente, vide stormi di viverne in fuga.

Perché scappavano e assalivano i loro cavalieri?

Il padre venne scosso da un fremito. Il bambino seguì il suo sguardo. Vide il terrore incarnato, il predatore che superava tutti gli altri, la manifestazione della natura contro cui erano impotenti. Artigli e occhi brillanti, ali capaci di scatenare tempeste, zanne di luce più lunghe e potenti di qualsiasi spada.

La città era nel panico. I cittadini scappavano, gli edifici franavano, chi tentava di opporre resistenza veniva schiacciato come un insetto.

«Aiuto, aiuto padre!» pianse l'infante.

Il padre si nascose dietro a un camino che sporgeva da un tetto, guardò dietro di sé e ansimò. «Ce la facciamo! »

«Madre» invocò il bambino tendendo una mano verso il palazzo reale.

Il genitore lo baciò e continuò a correre mentre le maledizioni dei cittadini si affiancavano alle grida di disperazione.

«Questa è la punizione della Dea!» «Perché il re si è ribellato?» «Ci ha condannati tutti!»

I cannoni tuonarono, ma il cocito non cadde.

Una sfera di ghiaccio esplose e una grossa scheggia trafisse una gamba del padre. Cadde in ginocchio, il volto era diventato una maschera di dolore straziante. Aprì la bocca, la saliva colò e guardò il figlio negli occhi. Gridò, si alzò e continuò la sua fuga.

L'avvento dell'ImperatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora