Dura verità

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Nota autore: tempo fa avevo deciso di salvare la storia come bozza e riscriverla, ma l'ispirazione non è mai tornata. Alla fine ho deciso di ripubblicarla senza averla revisionata. Sono consapevole dei vari problemi, quindi non fatevi problemi a segnalarli.





Il vento sferzò la schiena di Naos.

Preso un respiro profondo, il suo fiato si condensò in una piccola nuvola, che si dissolse così com'era venuta.

Il collare di cuoio gli stringeva la gola come un cappio e le calzebrache scure gli prudevano. Il nervosismo era acuito dal fatto che il comandante avesse deciso d'indire la cerimonia proprio in una notte di Luna piena. L'astro emetteva un'insolita e fredda luce blu, evento che presagiva sventura, ma almeno permetteva a Naos di vedere il palco e le centinaia di apprendisti che attendevano: per quanto si sforzassero di mantenere la loro compostezza erano scossi da occasionali fremiti o sussulti.

Oltre alle file sorgeva un imponente tempio: la sola scalinata era alta dieci iarde e l'architrave era retta da sei colonne lavorate a immagine dei sei Alioth che erano riusciti a diventare Imperatori; al di sopra delle loro teste, i fregi raffiguravano scene di battaglia contro orribili creature che Naos guardava con un misto di orrore e curiosità. Avevano sia qualcosa di umano che d'indefinito, come se fossero stati gli schizzi di un dio che non aveva ancora trovato l'ispirazione.

Il suo sguardo si mosse sull'arco a tutto sesto dell'entrata: era stato montato uno spesso sipario che teneva nascosta una misteriosa fonte di luce.

Arrivò il distante rullo dei tamburi. Parevano il passo di una gigantesca creatura che si stava avvicinando.

Quindici file, tra cui quella di Naos, si girarono a destra e altrettante a sinistra con perfetta sincronia, poi compirono sette passi indietro; le mani callose di Naos formicolarono. 

Una ventina di uomini attraversò il passaggio che si era aperto, portando con sé dei cofanetti e sostenendo degli stendardi su cui era stato ricamato un volatile simile a un cigno.

«Salute a sua eccellenza, il comandante Wasat!» ordinarono gli alfieri.

«La fama non si può usurpare!» gridarono gli apprendisti.

Le trombe annunciarono l'arrivo di un uomo dall'armatura bianca, l'elmo tenuto sottobraccio e un pugnale legato alla cintura. Sulle sue spalle ricadeva un mantello di piume argentee sottili come lame. Wasat camminava col capo alzato mentre le reclute si battevano il pugno sul cuore. Superata l'ultima fila, salì su una rampa che condusse lui e i suoi alfieri in cima a un palco in marmo. I soldati ripresero le loro posizioni iniziali, pareva di udire un singolo passo ogni volta che si muovevano.

Quell'uomo aveva il potere di decidere le sorti dei presenti. Aveva la pelle bronzea, la fronte rugosa, la mascella sporgente e la cicatrice che passava sopra all'occhio destro fino ad arrivare alle labbra. Nessuno sapeva come se la fosse procurata e tanto meno perché non l'avesse cancellata con un incantesimo; le voci sostenevano che avesse voluto scolpire, sia sul suo volto che negli occhi degli studenti, il ricordo delle battaglie che aveva combattuto.

Gli occhi infossati di Wasat passarono da una recluta all'altra. «Soldati. In questa solenne notte io chiamo a testimoniare i grandi del passato e il fondatore del mio casato, il leggendario Alioth il Lanciere. Insieme, uniti, recitiamo il Giuramento delle Fiamme!»

Con tono prima lento e solenne, poi sempre più forte, Wasat e i fedeli declamarono:

«Lode alla Dea!
La mia fiamma brillerà radiosa,
la mia luce rischiarerà le fredde e tristi notti,
il mio spirito sarà guida per le nuove generazioni,
lotterò e vivrò con rettitudine,
solo la verità uscirà dalla mia bocca,
il mio pugno colpirà con giustizia e distruggerà i malvagi,
non avrò timore di fronte ai miei nemici,
poiché alla mia Dea affido la mia vita e la mia anima.
A lei giuro eterna e assoluta fedeltà,
a lei e ai comandanti che mi darà.
Ora e per sempre.
Lode alla Dea!»

L'avvento dell'ImperatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora