La capitale

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L'aria fresca del mattino era diventata più fredda e la luce del giorno aveva fatto posto al porpora del crepuscolo.

Naos, tra le prime linee, reggeva uno scudo quadrato e al fodero portava una spada, sottile e affilata, in piritio; non aveva la cotta di maglia, ma una veste fatata, seppur inferiore a quella di Dabih. Legato al cinturino teneva un sacchetto, ricevuto come premio, con alcune monete.

Si vergognava di aver accettato il denaro e quelle voci che lo mettevano alla stregua di Sadr lo rendevano teso. Alla prima occasione avrebbe parlato con Ain e chiarito la questione.

Era stata una bella mossa per metterli l'uno contro l'altro, anche se era riuscito a rigirare la situazione a suo vantaggio.

L'aria era intrisa dell'odore pungente dell'autunno e i filamenti di brina avevano decorato l'erba. Quella visione gli suscitò un piccolo sorriso, ma oltre si levavano gli alberi, spogliati del verde. 

Il vento sferzò le chiome e numerose foglie, secche e marroni, si staccarono e volarono verso il cielo per qualche istante, poi ricaddero a terra.

Erano rimaste solo le più tenaci, che avrebbero ceduto a breve. Alla capitale, però, le piante erano sempre in fiore e questo le era valso il soprannome di "città dell'eterna primavera". Non era solo regno degli Alioth, ma anche dei Megrez e dei Mizar, a simboleggiare l'unificazione dei casati.

Il suo cuore palpitava. Avevano attraversato aride pianure e un villaggio in rovina i cui abitanti erano fuggiti al loro arrivo. I soldati che gli stavano attorno avevano narrato di bande di banditi ribelli e di perfide streghe che rapivano e divoravano viaggiatori isolati. Un luogo più sereno, da poter chiamare casa, era tutto ciò che gli serviva, assieme alla riconciliazione con Ain.

Il corno dell'arca suonò. Erano vicini al villaggio che avrebbe fatto d'accampamento. Una piccola cinta lo circondava, un paio di torri d'osservazione in legno si levavano oltre le mura, il portone era spalancato e decine di persone attendevano. Le dimensioni non lasciavano dubbi: avrebbe trovato buoi, polli, frutta, uova... di tutto. Il suo stomaco brontolò. Per un'apprendista una mela era un tesoro.

Non sapeva come gli abitanti li avrebbero accolti. Formalmente erano i loro protettori, ma i soldati erano affamati e frustrati e si sarebbero dati alle più disparate violenze, se qualcuno non li avesse tenuti a freno.

Naos aguzzò la vista: davanti all'ingresso c'erano anziani, donne e bambini, uno così piccolo che la madre doveva tenerlo in braccio.

«Vi prego, nel nome della Dea, non posso viaggiare con un bimbo così piccolo, morirà!»

«Non lascerò questa casa, l'ha costruita mio padre dopo che ci avete portato via tutto!»

«Non avete fatto niente mentre le streghe rubavano il nostro bestiame!»

Naos comprese che non sarebbe stata una visita, ma una razzia.

Dal cielo venne il rumore di una piccola porta che si chiudeva. Sgranò gli occhi e capì. «Fateci passare!» gridò agitando le braccia.

«V-via!» incitò Sadr a propria volta.

I paesani guardarono l'arca e i loro volti si dipinsero di terrore. La madre strinse più volte il bambino.

L'arca ruggì e una sfera di fuoco precipitò. L'esplosione catturò i civili, un'ondata di calore bruciò il suolo, il vento sbilanciò Naos e gli accecò gli occhi.

L'odore di carne bruciata gli affondò nelle narici. Sfregatosi gli occhi, poté distinguere decine di corpi neri come il carbone. "Potevamo scacciarli" pensò.

Una risata lo paralizzò. «Colpiti!» Era Dabih.

I soldati che stavano attorno a Naos erano rigidi come pali, ma alcuni di loro avevano l'aria soddisfatta. 

L'avvento dell'ImperatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora