Rovina

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Perseide era distrutta. La difesa di Artemis aveva chiesto le vite di quarantasette sorelle, a cui si aggiungevano tremila neanidi, ottanta barghest e più di diecimila alleati umani. Per cosa?

Nei momenti di tregua aveva sfogliato i vecchi libri, alla ricerca di risposte: la guerra con la Dea e l'Usurpatore, la perdita del potere delle vere eredi, fughe e persecuzioni. Lottavano per evitare che le tragedie si ripetessero.

E per questo... avevano combattuto facendo morire molte di loro?

Le parole di Selene sulla pace e sulla diplomazia le assediavano la mente. Tuttavia, il giudizio della Grande Madre era incontestabile.

Incrociò le braccia sulla scrivania e appoggiò la testa. La propria attitudine al comando era l'unico argomento che le facesse dubitare della volontà lunare. Era una discreta organizzatrice e sapeva ascoltare le persone giuste, ma non aveva il carisma trascinatore e la sicurezza di un vero sovrano.

A confermare la sua debolezza, dinnanzi al massacro aveva sentito qualcosa spezzarsi dentro di lei. Una voce, che cercava continuamente di zittire, le ripeteva che si stavano spingendo troppo oltre.

Si massaggiò la fronte e si ripeté il piano: ciò che era fatto era fatto, i Cento Regni sarebbero caduti sotto il loro dominio e l'Impero sarebbe risorto.

La resurrezione non sarebbe stata indolore: opposizioni, attacchi a tradimento, spartizioni dei poteri... Perseide elencò mentalmente le strategie che avrebbe dovuto seguire per svolgere i suoi nuovi, importanti compiti. Arrivò sempre alla stessa conclusione: molte sorelle sarebbero morte.

Mentre si arrovellava in quei pensieri qualcuno bussò alla porta, facendola trasalire. «Avanti».

La porta si aprì di scatto ed entrò una giovane sorella. «Selene è sveglia!»

Perseide mantenne la sua compostezza, anche se avrebbe voluto saltare giù dalla sedia. «Sarò da lei tra dieci minuti». La porta si chiuse e Perseide si levò, prese un respiro profondo e ripeté il discorso che si era preparata. Massaggiò i muscoli delle guance e si sforzò di assumere un'espressione rassicurante. Selene percepiva i sentimenti, ma doveva provarci.

Aveva chiesto di essere informata appena la vecchia amica si fosse svegliata. Le guardie l'avevano trovata priva di sensi, circondata dai cadaveri dei nemici massacrati. Le bambine che tanto l'avevano amata erano svenute o piangevano a dirotto. Dopo cinque giorni non si erano riprese: i sogni erano tormentati da orribili mostri, sussultavano per ogni rumore e facevano immensa fatica ad avvicinarsi alle adulte. Avevano paura che potessero trasformarsi in quell'orribile mostro che "aveva mangiato Selene".

Perseide avrebbe voluto far qualcosa per quelle povere creature. Forse solo rivedere la loro amata sorella maggiore le avrebbe potute rasserenare.

Sistematasi la treccia, uscì e si diresse con passo rapido ma non affrettato verso la sala in cui avevano portato le ferite. Avrebbe voluto correre come una pazza e abbracciarla. A volte pensava davvero che la Luna dovesse aver invertito i loro destini per un misterioso scherzo.

Dal piano inferiore venivano urla e tonfi. Il risveglio non era stato dolce. Perseide decise che quel possibile pericolo sarebbe stato un ottimo motivo per precipitarsi giù. I tonfi calavano di frequenza, ma gli stridii aumentavano.

Entrata nella sala, la vide: Selene aveva trangugiato le pastiglie speciali che avevano invertito la mutazione e tre guardiane la immobilizzavano. Una di loro aveva il braccio destro coperto di sangue. «State indietro, signora, ha cercato di staccarmelo!»

Perseide si coprì la bocca per reprimere un gemito. Selene si era allontanata dal giaciglio, ringhiava, cercava di mordere, sbavava e si dimenava come un animale in gabbia. «Mostri, mostriiii!» urlava.

L'avvento dell'ImperatriceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora