Capitolo 6 - Affiliazione

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Si stava svegliando.

Giacomo aveva iniziato gradualmente a muoversi sul pavimento. La nonna lo fissava terrorizzata da un capo della cucina, mentre, accanto a me, Davide si era alzato in piedi e brandiva il cellulare come un'arma. Il cellulare! Probabilmente i miei genitori avevano provato a chiamarci, e il mio era spento: avevo dimenticato di accenderlo quella mattina, complice il risveglio ritardato e l'ansia pre-trasferimento. Mi misi una mano in tasca per prenderlo, ma niente; di certo l'avevo dimenticato in camera mia. Diedi un'occhiata all'orologio sul polso di mio fratello e mi resi conto che si erano già fatte le tre e un quarto del pomeriggio. Chissà quanto erano preoccupati mamma e papà.

«Forse sarebbe meglio che tu uscissi fuori» esordì Davide. Era visibilmente angosciato per me.

«Non preoccuparti, me la so cavare, fratellino» dissi, pentendomene subito dopo.

Non era vero. In quegli interminabili secondi temevo il peggio, e la testa iniziava a farmi male. La mia solita emicrania tornava a farmi visita.

«Ragazzi, forse sarebbe meglio che usciste entrambi» dichiarò la signora Dorotea con un filo di voce.

«Che è successo, nonna?».

Era stato Giacomo a parlare. Lentamente, si sollevò dal pavimento e fissò lo sguardo verso la nonna. Aveva un'espressione singolare, a metà tra il sorpreso e lo sconvolto.

«Niente, tesoro mio. Cosa ricordi?» gli chiese la donna.

«Ricordo che siamo venuti a dare un passaggio ai nuovi vicini e poi ... e poi non so, non ricordo più nulla. Perché, cosa è successo?».

Si diede un'occhiata intorno e i nostri occhi finirono nuovamente con l'incrociarsi. Ma questa volta i suoi si distolsero rapidamente, quasi intimoriti, e si spostarono in alto, sulla mia fronte. Sentivo che il sangue caldo continuava a stillare e ad impregnare il mio viso, ma il terrore mi aveva letteralmente paralizzata e lo lasciai scendere. Giacomo continuava a fissare la mia ferita, e inaspettatamente iniziò a piangere. Sembrava quasi un bambino, e provai compassione per lui. Non avevo però la minima intenzione di avvicinarmi a quel ragazzo che fino a pochi minuti prima mi aveva aggredita senza battere ciglio, e non lo feci, né tantomeno lo fece Davide, che, dal canto suo, continuava a brandire il telefonino a mo di scudo.

«Io ... io ...» proruppe all'improvviso Giacomo «Io non volevo ... non so che cosa sia successo, ma non è dipeso da me ... ti prego, perdonami».

Perdonarlo? No, certo non in quel momento, come avrei potuto? Non sapevo neppure cosa pensare: chi ci assicurava che in realtà non stesse mentendo?

«Tesoro, hai avuto un altro episodio» annunciò la signora Dorotea.

«Un altro? Era da un po' che non succedeva ...».

Si interruppe bruscamente, imbarazzato, e iniziò a fissare il pavimento della cucina. La nonna mi lanciò un'occhiata espressiva.

Non era possibile, sembrava quasi che la colpa fosse mia, da come si comportavano quei due. Io che neppure ricordavo di aver conosciuto qualcuno, a quella festa.

«Perdonatemi, vi prego. Purtroppo non dipende da me, non riesco a controllarlo» disse Giacomo.

«E chi ci assicura che stiamo parlando con il "bravo ragazzo"?» chiese a un tratto Davide.

«Lo psichiatra mi ha spiegato che delle due personalità la dominante, l'host, è quella buona e gentile, mentre l'antisociale è l'alter. L'host non ha consapevolezza dell'alter né delle azioni che questo compie, a differenza dell'alter che, invece, conosce l'host. Come ti senti, Giacomo?».

Il mistero della casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora