Capitolo 19 - Ho sceso, dandoti il braccio*

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Non c'era nessuno in casa, quando rientrai. Probabilmente, la mamma era in palestra e Davide a scuola. Chissà che ora era ... avevo totalmente perso la cognizione del tempo. Lanciai un'occhiata all'orologio da parete: si erano già fatte le undici del mattino. Lo stomaco iniziava minacciosamente a brontolarmi: era chiaro che avessi già smaltito la colazione. Presi un succo di frutta nel frigo e salii in camera mia, trovandola esattamente come l'avevo lasciata, solo poche ore prima.

Poche ore ... sembrava fosse passata un'eternità, talmente tante cose erano accadute. Prima l'aggressione di Federico, poi la notizia dell'incidente di Giada, quindi il litigio con mio padre, a coronare una giornata tutt'altro che spensierata. Per non parlare di quanto successo con Giacomo ... Provavo dei sentimenti contrastanti verso di lui: non credevo di amarlo (o almeno, non pensavo che fosse così ... strano amare qualcuno), però non potevo negare a me stessa di provare qualcosa per quel timido ragazzo di periferia. Sarei stata un'ipocrita, a farlo. In fondo, a parte il piccolissimo e trascurabile dettaglio del disturbo dissociativo, era davvero un bravo ragazzo: dolce, premuroso, romantico ... pure troppo romantico. Non che non mi facesse piacere tutto quel romanticismo -mentirei se dicessi il contrario-, però le sue parole, così sentite e sincere, cariche d'amore, mi mettevano in imbarazzo più del dovuto. Non ero abituata a sentirmi dire certe cose ...

Decisi di darmi da fare, mettendomi a sistemare la stanza, così da evitare di pensare a Giada. Dopo aver fatto il letto, estrassi dallo zaino il libro di Letteratura e mi misi a studiare, nel disperato tentativo di porre fine al flusso caotico di pensieri che si succedevano, disordinati, l'uno dopo l'altro. La professoressa di italiano ci aveva assegnato il compito di studiare la poetica di Montale. Sfogliai il libro fino alla pagina appuntata sul diario e mi ritrovai di fronte una sua poesia, di cui avrei dovuto fare la parafrasi. Neanche il tempo di brandire il vocabolario di italiano, che squillò il cellulare. Era mio padre. Non avevo voglia di parlargli, non dopo quello che era successo in ospedale, ed ignorai la chiamata. Entro pochi minuti il telefono tornò a squillare, ma questa volta a sorridermi sull'apparecchio c'era il volto di mia madre.

<< Mamma, che c'è? >> risposi, seccata. << Stavo tentando di studiare >>.

<< Oh, Melissa ... non so proprio come dirtelo ... perché non hai risposto a papà? >>.

Dirmelo ... dirmi cosa?

<< Mamma, che è successo? >> domandai, spazientita.

Ma non ero sicura di voler ascoltare la risposta ...

<< Melissa, è successo tutto così in fretta ... ha avuto un'insufficienza respiratoria acuta, i medici dicono che non c'è più nulla da fare, solo aspettare le sei ore per certificare la morte cerebrale e autorizzare l'espianto degli organi ... >> rivelò, singhiozzando.

Aspettare le sei ore per l'espianto degli organi ... Non capivo, cosa era successo? Cosa era era successo a Giada?

<< Non ci posso credere, mamma >> dissi, la voce ridotta a poco più di un sussurro.

<< Melissa, stai a casa, non c'è bisogno ... >> iniziò mia madre, stravolta.

<< No che non rimango a casa, mamma! Come posso rimanere a casa, come? Come, dopo quello che è successo? >> strillai, iniziando involontariamente a piangere.

Interruppi la chiamata e mi abbandonai totalmente al dolore, venendone quasi ingoiata. Non poteva essere vero, no ... La mia migliore amica, quasi sorella, sempre pronta a difendermi e a consolarmi, sempre sorridente e di buon umore, non poteva essere morta ... come si può morire a soli diciotto anni? Non si può, appunto. È un insulto alla vita morire così giovani, un'offesa ad un dono tanto speciale ...

E lei non era morta, c'era sicuramente stato un errore, i medici con tutti quei loro macchinari si sbagliavano ...

Lo sguardo mi cadde, senza volerlo, sul libro di italiano, aperto su una poesia di Montale: "Ho sceso dandoti il braccio" .

Iniziai a leggerla:

"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio, non già perché con
quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue".

****

Due piccole precisazioni:

1) La poesia Montale l'ha scritta per la moglie, ma ho trovato che fosse adatta anche a descrivere un'amicizia sincera;

2) Capitolo breve, ma non potevo scrivere altro dopo quel capolavoro letterario. Sarebbe stato oltraggioso xD

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