Capitolo 38 - Come Orfeo ed Euridice

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"La cosa più bella sopra la terra scura
è per qualcuno una schiera di cavalieri,
per altri un esercito di soldati,
per altri ancora una flotta di navi.
Io dico che la cosa più bella
è ciò che si ama".
(Saffo)

****

<< Melissa, ti ho detto di lasciarmi qui! >>.

Giacomo continuava a lamentarsi e a contorcersi per il dolore, mentre io ero letteralmente paralizzata, senza sapere cosa fare. Non mi piaceva sentirmi così impotente...

<< Il tuo labbro sta sanguinando >> sussurrò il ragazzo, sollevando la mano destra e accarezzandomi una guancia.

<< Non importa, sopravvivrò >> lo rassicurai, stringendogli la mano.

Devi sopravvivere anche tu, avrei voluto dirgli. Non posso vivere senza di te, non ce la posso fare...

Ripensai al mattino della prima prova della maturità, nella sua camera da letto: quel giorno, aveva provato ad insegnarmi la tecnica del respiro consapevole. Follemente, tentai di metterla in pratica: non sapevo più a cosa aggrapparmi, ma era necessario che mantenessi la calma e ritrovassi la concentrazione.

Facile a dirsi, in una situazione del genere...

Feci un profondo respiro ed espirai lentamente, tentando di ricordare la parole della Ferrero. Aveva parlato di tachicardia, midriasi, ipertermia... ero sicura che avesse citato il nome di qualche farmaco, ma quale?

Mi guardai intorno, alla disperata ricerca di qualcosa che mi permettesse di abbassare la temperatura di Giacomo. Proprio sotto la rampa di scale che portava al piano terra, scorsi un lavandino: meglio di niente...

Tolsi di dosso la t-shirt a Giacomo, lasciandolo a torace scoperto, e la ridussi a brandelli sufficientemente lunghi che bagnai sotto il rubinetto. Posizionai i frammenti della maglia uno ad uno sul suo corpo seminudo, sul suo petto animato da energici e frequenti (più del dovuto) movimenti respiratori, sulle sue braccia e sulle sue gambe, incredibilmente bollenti.

Tastai nuovamente il polso, constatando che la frequenza era ancora eccessivamente alta: dovevo fare qualcosa per abbassarla, e in fretta...

La dottoressa Ferrero aveva parlato di qualche farmaco, oltre che della temperatura e della lavanda gastrica, ma quale? Ricordavo solo che aveva a che fare col greco... beta qualcosa...

Beta-bloccanti!

Che stupida a non ricordarlo prima!

Sicuramente la nonna di Giacomo ne aveva in casa: tutti gli anziani (o quasi) sono ipertesi...

<< Giacomo >> mi abbassai su di lui, cosicché i nostri volti fossero uno sull'altro. << Sai dove tiene i farmaci tua nonna? >>.

<< Io... >>.

Sembrava che pronunciare ogni singola sillaba costituisse per lui uno sforzo sovrumano...

<< In cucina, nello scaffale accanto al frigorifero. Perché? >>.

Gli diedi un bacio, assaporando ogni singolo istante in cui fummo legati, e salii al piano superiore, senza dire nulla. La signora Dorotea, fortunatamente, non era in cucina. Individuai abbastanza rapidamente lo scaffale e lo spalancai, trovandomi di fronte oltre una decina di confezioni di farmaci. Ricordavo dalle "lezioni" di mio padre che tutti i beta-bloccanti terminavano in "-olo", quindi cercai un pacco che riportasse un nome con quel suffisso: metformina, no... ramipril, no... insulina, no... isosorbide dinitrato, no...

Finalmente, lo sguardo mi cadde sul farmaco tanto agognato: bisoprololo. Per sicurezza, aprii la confezione, constatando che, effettivamente, si trattava di un beta bloccante.

Scesi silenziosamente nello scantinato e trovai Giacomo, se possibile, in condizioni ancora più pietose di prima.

<< Giacomo >> mi precipitai verso di lui. << Prendi questa, ti aiuterà a stare meglio >>.

Gli aprii la bocca e gli feci ingoiare la pillola, stando attenta che non gli andasse di traverso: ci mancava solo che peggiorassi le cose...

<< Devi essere un angelo >> disse lui, accarezzandomi il volto. << Un angelo mandato dal cielo per salvarmi >>.

<< Brutta cosa, le allucinazioni >> lo presi in giro, sforzandomi a sorridergli.

Non riuscivo a sopportare di vederlo in quelle condizioni, così indifeso, così vulnerabile... lui che mi era sembrato invincibile, forte, sempre in grado di trovare una soluzione per ogni problema...

<< Ti amo >> dissi a un tratto, sdraiandomi al suo fianco.

Mi indirizzò uno sguardo stupito e felice a un tempo: non avevo mai visto quell'espressione sul suo volto, sembrava al settimo cielo...

<< È la prima volta che me lo dici >> mi fece notare. << Questo vuol dire che sto morendo >>.

<< No! >> strillai, decisa. << Non stai morendo, non pensarlo nemmeno! >>.

Iniziò ad accarezzarmi dolcemente i capelli, con fare premuroso.

Persino in una situazione del genere, si preoccupava di tranquillizzarmi...

Rimanemmo in quella posizione, abbracciati l'uno all'altra, per qualche minuto. Appoggiai delicatamente l'orecchio sul suo torace, all'altezza del cuore, constatando che la frequenza si era fortemente ridotta.

Grazie a Dio ne avevo fatta una giusta...

<< Con te così vicina, il cuore non può non battermi all'impazzata, Mely >> tentò di sorridermi. << Soprattutto dopo quello che hai detto poco fa >>.

<< Ma io ti avevo già detto che ti amo >> dissi, tentando di tornare in me. << Al bar della scuola, la mattina della prima prova. Quando mi citavi Calvino >>.

<< Hai solo completato la frase di Cosimo >> specificò. << Ma adesso vai dai tuoi genitori, chiama la polizia >> quasi mi supplicò.

<< Chiamo un'ambulanza, intanto >> gli dissi, rimettendomi in piedi.

<< Il mio cellulare è nella mia stanza, Mely >>.

Inspirai profondamente, ripensando alla tecnica del respiro consapevole, e mi diressi verso le scale.

<< Comunque io continuo ad essere negata per la meditazione >> dichiarai, giusto per strappargli un sorriso.

<< È stato lui >> strillò il ragazzo, la voce ridotta a poco più di un sussurro.

<< È stato lui cosa? >> domandai, fermandomi a metà scala.

<< A causare l'incidente, trent'anni fa ... è stato mio padre >>.

<< Cosa? >> esclamai, turbata. << E tu come fai a saperlo? >>.

<< Fidati di me >> si limitò a dire.

<< Mi fido di te, Jack >> gli dissi, sorridendogli.

Quindi salii al piano terra, sentendomi, mio malgrado, come Orfeo che abbandona Euridice negli Inferi.

Ma io non avrei fatto il suo stesso errore: sapevo che la cosa migliore da fare era cercare aiuto, e per questo non mi sarei voltata.

Il mistero della casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora