Non ti sopporto

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"Non ti sopporto."

"Da quanto continui a ripeterlo?"

"Solo perché è vero. Per favore, vieni a tavola?"

"Mi lasci finire?" Cambiò tono, gonfiando le guance, e squadrandomi in un modo che mi fece capire che quella fosse tutto fuorché una richiesta.
Bensì, una pretesa.
E, a me, non è che fosse mai piaciuto più di tanto, quel suo lato del carattere così viziato.
Ma ormai, dopo tutto quel tempo, avrei mentito nel dire che ancora ci facevo davvero caso.
Non perché fosse diventato più facile, accettare i suoi difetti, semplicemente ero riuscita ad imparare a conviverci.

Avevo accettato che Tancredi fosse scorbutico, lunatico, riservato, più paranoico di quanto non gli piacesse dare a vedere, e, sopratutto, decisamente troppo esigente.
In primis con sé stesso e successivamente con gli altri.

"Posso almeno sapere cosa stai- oh."

Finalmente, si spostò, poiché il suo busto mi nascondeva completamente qualsiasi cosa stesse facendo, seduto alla scrivania in quella posizione, o almeno fino a quel momento.

"Già, oh." Mi canzonò, gesticolando con le dita sottili e leggermente macchiate di nero. "Ora è più chiaro, perché devo finire? Erano secoli che non avevo ispirazione, e, con tutto il rispetto, non ho alcuna intenzione di buttarla via per degli gnocchi al pomodoro."

"Sì, Tancredi." Sospirai, girando lʼelastico attorno ai miei capelli per tentare di scacciare almeno un poʼ il caldo afoso di Giugno. "Lo capisco. Ciò che non capisco è il tono di sufficienza, come se non avessi idea di quanto tutto questo sia importante per te."

Non posò la matita, come sapevo avrebbe fatto, ma addolcì lo sguardo, facendo sfarfallare un paio di volte le ciglia, chiedendo scusa senza usare effettivamente le parole. "È solo che... il fatto che mi abbiano proposto di partecipare alla realizzazione di un murales vero, a norma, importante e gigantesco mi sembra ancora un sogno. Ed è normale, che per decidere abbiano bisogno di vedere alcuni dei miei lavori recenti, solo, tutta questa pressione non ha aiutato e sono stato fermo per giorni e giorni a rimuginare-"

"Lo so."

"E adesso che finalmente mi si è riaccesa la lampadina voglio solamente stare su queste tele fino a che non avrò le dita consumate e gli occhi incrociati-"

"Lo so." Riprovai, ma era come se non mi sentisse.

"E sono nervoso... no, esaurito, forse è la parola più adatta, perciò è davvero probabile che risulterò uno stronzo, devi provare a non farci caso e-"

"Tancredi!" Alzai di qualche ottava la voce, facendolo finalmente zittire. "È okay, ne sono al corrente, di tutto quanto. Semplicemente, non è sempre facile stasersene buoni buoni a sopportare i tuoi sbalzi di umore, ma ti capisco. Me ne vado."

"No." Fece spallucce. "Puoi restare qui, se ti va. Averti attorno mi aiuta, in qualche modo."

"Perché sono la tua musa?" Scherzai, tentando di alleggerire la tensione.

Lui, di tutta risposta, con la mano libera mi alzò il medio. "Vai a cagare."





"Mi sdraio un secondo, mi fa male la testa."

Avevo detto, ormai mezzʼora prima, buttandosi sul letto accanto a me per poi poggiare la testa sul mio stomaco. Era stanco, aveva accumulato un sacco di tensione, e per di più da quando aveva avuto quella proposta la notte ormai non dormiva quasi niente.
Era del tutto normale che stesse così, però da un lato mi faceva male vederlo in quello stato.
Per questo, nonostante probabilmente una volta sveglio mi avrebbe rimproverato per avergli fatto perdere tempo, non lo svegliai, lasciai che respirasse piano, accocolato su di me, con le palpebre serrate, la carnagione leggermente arrossata dal caldo, le labbra schiuse e la mano che mi solleticava un fianco.
Sorrisi, perché, dopo più di un anno, ancora non mi ci ero abituata, e forse non lʼavrei fatto mai.
Non avrei mai preso la sua vicinanza, la sua presenza allʼinterno della mia vita e il modo in cui era in grado di farmi sentire, come scontato, banale, di routine.
Ero grata, per ogni singolo istante.

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