Vandalo

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"Stiamo lontane qualche giorno e ti tagli i capelli senza avvisarmi?"

"Sì, e tu molli il tuo ragazzo. Hai decisamente vinto questo gioco."

"Lo so, Les. Hai tutte le ragioni per essere arrabbiata ma non so cosa dirti." Aspirai un po' dalla sigaretta. "Era la prima volta che stavo così, e chiudere tutti fuori dalla mia piccola bolla mi è venuto istintivo. Ma tu sei sempre la mia migliore amica, e mi dispiace non avertelo detto. Comunque ti sta bene il caschetto, nonostante tu abbia i ricciolini."

Si toccò il collo, dove la sua chioma mancava, e sorrise, guardando il panorama dal terrazzino della radio. Dovevamo parlare, assolutamente, così le avevo chiesto se poteva raggiungermi alla fine del mio turno, ed eravamo salite lassù perché cʼera un panorama estremamente rilassante.

"Non sono arrabbiata." Scrollò le spalle. "Mi dispiace solo che tu non abbia avuto bisogno di me, capisci? Forse sto diventando anche io egocentrica come Tancredi, per osmosi."

"Io avrò sempre bisogno di te, Les, sempre. Dimenticherei perfino la testa, pur avendola attaccata al collo, se non ci fossi tu con me. Solo che non mi andava di fare pena a nessuno, mi conosci. Le accetti le mie scuse?"

Buttò giù il mozzicone per poi voltarsi a guardare me ed annuire. "Ho scelta?"

"No." Scossi la testa. "Non ce l'hai, dovrai avermi in mezzo ai piedi per ancora molto tempo. A che ora inizi il turno al bar?"

"Tra poco." Rispose, dando un'occhiata all'orologio. "Infatti sarà meglio scendere, c'è anche qualcuno che ti aspetta."

"In che senso?"

Celeste si sporse oltre la ringhiera, indicandomi una minuscula figura che sfrecciava a destra e a sinistra come un fottuto razzo impazzito. "È lui, no? Il tuo gnomo da giardino."

Sì, era proprio il mio gnomo da giardino, sopra ad uno skateboard. Mi aveva raccontato di saperci andare, stando attento a non farsi sentire da Diego, che a quanto pareva, si reputava il più bravo di tutti, ma a conti fatti non avevo mai visto nessuno di loro all'opera. E ora eccolo lì, in mezzo alla strada sotto al mio posto di lavoro a pattinare sopra alla sua tavola.

"Cerchi di impressionarmi?" Urlai, una volta scesa in strada insieme alla mia amica, per far sì che mi sentisse.

Si fermò, facendosi scattare lo strumento in mano con una botta del piede. Onestamente, mi veniva da ridere.

"Come se ne avessi bisogno." Rispose, con quel suo solito tono saccente. "Ciao, Celeste."

Lei ricambio il salutò, sorridendogli e sventolando la mano, dopodiché si dileguò, affermando di essere già in ritardo. Tancredi la guardò andar via con un grosso cipiglio sulla fronte.

"Mi odia?"

"Non credo." Risposi, vedendola correre verso la fermata. "Può essere che tu abbia perso punti, ma non ti odia, oppure te l'avrebbe detto. Non ama i mezzi termini, l'avrai capito."

"Effettivamente."

"Bene, appurato questo, torniamo a noi." Indicai lo skateboard. "Perché sei venuto con quello?"

Tancredi aveva tante espressioni tipiche.
Quella che diceva sto per baciarti, quella della faccia da culo che aveva bisogno di qualcosa, quella dello stronzo nervoso che stava per mandarti a quel paese senza motivo, ed infine quella, che sicuramente doveva essere la sua preferita.

Sollevava un sopracciglio, sorrideva a metà e tirava fuori un pezzettino di lingua, non tutta, quel tanto che bastava per risultare sfigato.

Perché quella era l'espressione da sfigato in cerca di attenzioni, anche se lui credeva di risultare super accattivante.

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