Cavaliere

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Non gliel’avevo mai detto, come un milione di altre cose, ma amavo che fosse così ingenua e sbadata. Amavo beccarla sul fatto compiuto, e vedere il modo in cui i suoi occhi marroni, così grandi ed espressivi si rimpicciolivano istantaneamente e andavano a posarsi sul pavimento, sembrava una piccola peste che era appena stata beccata a fare una marachella. 

Ovviamente, avevo notato la mia felpa sbucare fuori dalla sua borsa, perché come al solito se l’era dimenticata aperta, ma avevo anche deciso di aspettare a dirglielo, per quanto mi dispiacesse non poterle vedere quella sua espressione dipinta in viso, se l’avessi fatto me l’avrebbe lanciata addosso, per colpa del suo solito orgoglio, invece volevo che la tenesse.
Volevo che mi avesse con sé, e anche io mi sarei portato un minuscolo pezzettino di lei, solo che ero più discreto e sapevo non farmi beccare, ma le avevo rubato un elastico per capelli.
Di quelli classici, piccolo e nero, proprio il minimo indispensabile, ma ne ero comunque felice perché un po’ sapeva del suo shampoo, dell’odore che sentivo ogni volta che eravamo a letto e mi lamentavo di venire soffocato dai suoi capelli.
Lo avevo nascosto e me lo sarei infilato solo una volta separati, altrimenti se ne sarebbe accorta.

Indossai il mio cappellino e gli occhiali da sole, dopodiché chiusi la porta di casa e scesi di sotto, davanti al portone, dove gli altri mi stavano già aspettando.

Luce era un’altra volta appiccicata a Lele, probabilmente si stavano salutando, come se non fossero bastate le coccole che si erano fatti mentre io ero in doccia.

Il bruciore che avvertivo alla bocca dello stomaco ogni volta che accadeva una cosa di quel genere non era qualcosa che mi piaceva particolarmente, perché essere geloso significava essere vulnerabile, ed io non volevo esserlo.

Senza troppe cerimonie gliela tolsi di dosso, marchiando il mio territorio con un bacio.
Non che Luce fosse un oggetto a cui appiccicare l’etichetta della proprietà, però era pur sempre la mia ragazza.

“Ti mando un messaggio appena salgo sul treno.” Promisi, accarenzandole il viso.

“Mh.” Ripose, socchiudendo gli occhi al mio tocco.

“Non piangere troppo, torno presto.” La presi in giro, ma lei sapeva che era il mio modo per dirle che sarebbe andato tutto bene.

“Vai affanculo.”

«Stiamo partendo adesso, e comunque quella felpa non era pulita, ma se sei contenta tu.» Le scrissi, non appena toccai il sedile.

Non mi andava davvero di partire, ed ero stanco.
Stanco di avere quel genere di obblighi, e sapevo che non era un gran sacrificio comparato a quelli che facevano le persone che avevano lavori più comuni, ma io odiavo sentirmi costretto a dover fare qualcosa. Mi piaceva agire da solo, decidere per me, a costo di sbattere la testa e farmi male.
Ero un cazzone per davvero e non potevo negarlo.

Ma avevo l’obbligo di essere lì, perché per le nostre immagini, la mia e quella di Giulia, farci vedere insieme era un bene, far sì che le persone credessero che avevamo una storia era un bene, perché il fatto che fossimo carini insieme spingeva a seguirci, e i numeri crescevano.
I numeri, così come la sua sbandata per me, che era tutto fuorché finta.
Luce mi aveva dato del presuntuoso quando glielo avevo detto, ma era semplicemente la verità: Giulia mi voleva per davvero, e non era nemmeno brava a nasconderlo.
La vedevo arrossire al nostro minimo contatto, vedevo le risate nervose che le scappavano quando le stavo attorno e non tentava di mascherare nemmeno un po’ il desiderio di starmi sempre appiccicata.
Ma io cosa potevo farci se non sentivo lo stesso per lei? Non l’avevo mai sentito e decisamente non lo sentivo in quel periodo, in cui la mia testa era totalmente occupata da un’altra persona.
E Giulia lo sapeva, in fondo, ma questo evidentemente non le vietava di continuare a tentare.
Aveva chiesto a Lele di fare scambio di posto, così da potersi sedere accanto a me sul treno, ma lui aveva rifiutato con la scusa ridicola di essere lievemente spaventato da qualunque mezzo di trasporto e di avere perciò assolutissimamente bisogno di me.
Era ridicola, sì, ma non così tanto incredibile, dato che era un fifone patentato, e lei sembrò cascarci.

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