Colpa dellʼalcol - II Atto

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“Lù, per favore, questa cosa mi trapana il cazzo.”

“Mh?”

“La sveglia, ti prego, spegni quella vibrazione.”

Oh.

Allungai il braccio alla cieca, cercando il cellulare senza nemmeno aprire agli occhi, e una volta che lo ebbi acciuffato trascinai lo schermo in modo tale che si spegnesse, pregando di azzeccare il movimento giusto.

“Ma che ore sono?” Chiese, con la voce impastata e bassa.

Lo notai, perché avevo cominciato a riattivare i cinque sensi. Mi accorsi anche di avere lʼaltro braccio totalmente fuori uso, poiché era spiacciato tra il mio e il suo petto, mentre lui con il suo mi avvolgeva la schiena, avevamo le gambe incrociate e la mia testa gli premeva sulla base del collo. Come era stato umanamente possibile dormire in quelle condizioni?

“Avevo messo la sveglia alle nove e mezza.” Risposi, battendo le palpebre. “Quindi presumo siano le nove e mezza, non ho guardato il cellulare perché rischiavo di accecarmi, mi serve ancora un secondo per abituarmi alla luce.”

“Mh” Mi strinse di più, premendo i nostri corpi insieme come due fette di pane di un toast. “Ci dobbiamo alzare subito?”

“Devo essere in radio alle undici.” Sorrisi, per via del suo tono così supplichevole.

“Allora no.” Decise, stringendomi ancora più forte. “Quanto tempo potrà mai volerci per farti una doccia e mangiare qualcosa?”

“In realtà devo anche lavare i piatti di ieri sera, ma ti doʼ qualche minuto. Sei comodo, comunque ? Ho lʼimpressione di starti perforando la cassa toracica.”

“Fino a due minuti fa ronfavo come un ghiro. Tu cosa pensi?”

“Okay. Cazzi tuoi, io ho chiesto.”

Con la mano che aveva libera, lo sentii sfiorarmi la guancia, e quasi istintivamente rinchiusi gli occhi. A quanto pareva era un gran coccolone di mattina, e non avendo idea di quando sarebbe ricapitata una cosa del genere, mi gustai ogni piccolo gesto.

“Perché devi lavorare?” Si lamentò, disegnando dei cerchietti col il pollice sul mio zigomo. “Il tuo amico non ce la fa da solo?”

“Ei, vacci piano." Lo ammonii. “Tommy è-”

“La tua ombra dai tempi delle superiori, ho capito. Però posso odiarlo perché per colpa sua mi devo alzare oppure è vietato?”

“Tu non devi alzarti per forza. Sono io quella che deve uscire.”

“Se lʼobiettivo è farmi ammettere che non voglio che sia tu ad alzarti, sappi che non ci riuscirai.”

“Sei il solito.” Sbuffai, riaprendo gli occhi. “Mi stai proprio sul cazzo.”

“Ah sì?” Aprì anche lui quei suoi piccoli assonnati occhi verdi di scatto, e storse la bocca, come faceva sempre quando era offeso o fingeva di esserlo. “Continui a ripeterlo, ma a me sembra invece di piacerti parecchio.”

“Non posso credere che riusciamo a fare questo anche da appena svegli.”

“Siamo così, che ci vuoi fare. Ti prendo un asciugamano pulito e poi vado a fare il caffè.”

Una volta uscita dalla doccia, mi rimisi i jeans del giorno precedente e infilai di nuovo la sua felpa. Lʼavevo tenuta solo qualche ora, dopotutto, e mi andava di sentirlo con me durante la giornata, sperai che a lui non dispiacesse. Non sembrò contrariato, dato che non appena mi vide entrare in cucina gli brillarono gli occhi.

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