Io e lui

2.7K 135 18
                                    

A volte si dice sta calmo solo quando dorme.
Per lui non valeva, perché in generale, era una persona calma. Nonostante la sua lingua tagliente, non urlava quasi mai, a meno che non fosse davvero arrabbiato, e senza tener conto delle sparatorie alla Playstation, non era un tipo molto rumoroso o irruento.
Però mentre dormiva era diverso, perché non poteva rispondermi male o contraddirmi, se ne stava semplicemente sdraiato, respirava piano, teneva il labbro inferiore all’infuori e mi stringeva un fianco come se ne andasse della sua intera vita.
Avevo notato più di una volta che se di mattina mi alzavo prima di lui, venivo quasi istantaneamente rimpiazzata dal cuscino, avevo lʼimpressione che non sapesse dormire senza abbracciare qualcosa.
In quelle situazioni, mi sembrava davvero minuscolo.
Smisi di fissarlo solo quando notai il mio telefono vibrare.

“Pronto?” Bisbigliai, sperando che non si svegliasse.

, sono io! Siete spariti!”

“Lele, ciao. Come stai? Scusa, hai ragione, è solo che non sto quasi mai al telefono, se non per sentire mamma e rifilarle qualche stronzata.”

Sto bene, grazie! Tu? Com’è andata con la famiglia di Tanche?”

“Benissimo, sono-”

“Ao Lè, ma che cazzo. È mattina presto, non c’hai niente da fare?” Urlò Tancredi, in modo da farsi sentire, ed io quasi mi spaventai, non me lo aspettavo proprio. A quanto pareva, la mia voce doveva averlo svegliato.

È il solito.” Sbuffò il mio amico, dall’altro capo del telefono. “Volevo solo dirvi se oggi vi va di vederci per pranzo, così poi prendiamo direttamente il treno. Puoi chiederglielo? Se non è troppo disturbo.”

“Ma certo, lascia solo che passi qualche ora. Lo conosci meglio di me, guai a chi lo sveglia prima delle dieci.”

“Ma guarda questi oh, non si può neanche dormire in pace a casa propria.” Continuò a lamentarsi, tappandosi le testa col cuscino.

Sorrisi, era proprio un cazzo di bambino ingestibile.

Salutai Lele, poi gli tolsi quellʼaffare di dosso, mentre continuava a lamentarsi. “Finiscila, ho attaccato. Torna a dormire se vuoi.”

“Ormai mi avete svegliato. Che stronzo, lo picchio appena lo vedo.” Borbottò, senza aprire gli occhi.

“Non ti crede nessuno.”

“Ci sei solamente tu, qui.”

“Già.” Gli detti un buffetto sulla guancia. “Ed io, non ti credo.”

“Puoi non credermi mentre mi dai un bacio, dato che già mi hai fatto svegliare nel peggiore dei modi?”

Prima di andarmene, Serena mi consegnò un pacchetto con dei biscotti che aveva fatto lei stessa, mi baciò le guance e mi disse che avrebbe costretto Tancredi a farsi dare il mio numero, in un modo o nell’altro. Lui scosse la testa, bisbigliando un ‘non succederà mai’ falso come una moneta da 3 euro.
Suo padre e le sue sorelle mi regalarono dei sorrisi stupendi, come se fossero grati quanto me del tempo trascorso insieme, e sperai davvero che fosse così.
Sopratutto con Clarissa mi ero trovata davvero bene a parlare, avevamo gli stessi gusti musicali ed era estremamente dolce, a volte mi era venuto da chiedermi se lei e il mio ragazzo fossero davvero imparentati.

Era stato tutto perfetto, dalla mia ansia iniziale che stava semplicemente a denotare quanto ci tenessi a piacere a quella famiglia, alle ore passate in giro per Roma con la Canon sempre appesa al collo, fino al pasto con i ragazzi nel Mc Donald’s della stazione.

“Il ketchup fa schifo.”

“Tu fai schifo.”

“Ricordatelo la prossima volta che vorrai saltarmi addosso sul bancone della cucina.” Lo zittii, lasciando tutti quanti con gli occhi sbarrati.

Paper Houses Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora