Capitolo 86: We're in this together

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«Come facevi a sapere che mi sarebbe servito?» fu l'unica cosa che il mio cervello riuscii a concepire in quel momento. Mi avvicinai e mi sedetti accanto a lui, ma ciò che ottenni fu che si alzò nello stesso istante per allontanarsi da me.

Giocava con il pacchetto di sigarette che teneva tra le dita, lo faceva girare, lo apriva, lo chiudeva e ci teneva lo sguardo incollato sopra. Non aveva le mani ferme, o forse fu soltanto una mia impressione, ma sembrava comunque cercare di nascondere qualcosa.

Probabilmente aveva bisogno di fumare ma non voleva chiedermelo, perciò aprii la finestra della camera e mi sedetti sul davanzale, lasciando che l'aria mi accarezzasse le gambe e che la vista del mare di Los Angeles mi calmasse. Lui occupò il posto accanto al mio e tirò fuori una sigaretta dal pacchetto per accenderla, ma nel riportarsela alle labbra constatai che il tremore alla mano che avevo visto prima non era stato soltanto frutto della mia immaginazione.

«Perché ti trema la mano?» chiesi ancora, cercando di addolcire il mio tono, non me la sentivo ancora di toccarlo. Lui continuò a stare in silenzio e a guardare dritto davanti a sé.

Mi incantai ad osservare il suo profilo e come il fumo uscisse leggero dalle sue labbra. Non mostrava nessuna emozione, gli occhi erano spenti e la bocca si muoveva soltanto per prendere ogni tanto una boccata di fumo dalla sigaretta.

«Sai che non mi piace quando sei silenzioso» continuai, quel silenzio mi stava per far andare fuori di testa.

«Ho saputo di Alex e non hai idea di quanto mi dispiaccia» disse, la voce gli uscì bassa e piatta, priva di qualsiasi emozione o forse ne era piena e io non riuscivo a capirlo.

«Non è colpa tua e non dire altro, non ha senso fare il gioco delle colpe» interruppi quella conversazione sul nascere perché sapevo già come sarebbe andata a finire, lui avrebbe iniziato a darsi la colpa, ne sarebbe stato divorato, avrebbe detto che se non fosse stato per lui tutto quello non sarebbe mai successo e non volevo nemmeno che lo pensasse, perché non lo era.

«Che ti ha detto Robert?» chiese, continuava a non guardarmi e a concentrarsi soltanto sull'accendersi la seconda sigaretta.

«Non è necessario parlarne adesso» l'incontro avvenuto non troppo tempo prima non godeva assolutamente della priorità in quel momento, perché mi importava soltanto di sapere cosa gli stesse passando per la testa.

«Perché non mi guardi?» la domanda uscì spontanea dalla mia bocca e non sapevo neanche con che coraggio lo stessi guardando io. Semplicemente, non dovevo pensare troppo.

«Perché sto cercando di non arrabbiarmi»

«Perché dovresti arrabbiarti?» cercai di capire, volevo disperatamente capire. Gli posai una mano sulla guancia per accarezzarlo e soltanto quel leggero contatto fisico sembrò convincerlo a incastrare di nuovo i suoi occhi nei miei e avrei preferito non l'avesse fatto.

Sentii come se mi avesse letteralmente strappato il cuore dal petto, non sapevo perché. Il suo sguardo era normale, ma come sempre, aveva quell'effetto assurdo su di me. Riusciva a trasmettermi emozioni così intense che mandava il mio cervello completamente in tilt. Sembrava volesse dirmi qualcosa ma non ci riuscisse, sembrava essere dolce, innamorato, infuriato, gelido e lontano mille anni luce contemporaneamente.

«Ogni volta che tu ti riduci in questo stato mi spezzi il cuore in due. La preoccupazione mi divora e mi uccide secondo dopo secondo, non riesco a immaginare che ti succeda qualcosa e lo nascondo dietro alla rabbia perché è più facile per me controllare una cosa che conosco così bene piuttosto che il terrore costante che ho di perderti»

Mi tenne il viso dolcemente stretto tra le sue mani, accarezzandomi per portarmi direttamente un pezzo di paradiso e di inferno con un solo gesto.

LA's Devil - dicono che tu sia il diavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora