Capitolo 44: Sali su quel maledetto aereo

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Mi alzai, per la prima volta da quando ero a Miami, da sola. Senza Dylan accanto. Era partito questa mattina all'alba e, non per dire nulla, ma poteva anche svegliarmi e salutarmi. Scostai le lenzuola bruscamente e andai in cucina, dove Hunter stava fissando il vuoto mentre beveva il caffè.

«Grazie per la soffiata, ieri sera» guardai il frigo vuoto e sbuffai, accontentandomi del caffè che Hunter aveva preparato.
Hunter la sera precedente, dopo che io gli avevo confessato i miei sentimenti per Dylan, durante la festa mi aveva detto cosa mi avrebbe detto il moro poco dopo dato che credeva meritassi un po' di vantaggio in quella situazione. Grazie Hunter.
«E di che» fece spallucce e mi circondò le spalle con un braccio, lasciandomi un bacio sulla tempia.
«Ti ha salutato?» chiesi.
«Io ero già sveglio, il mal di testa non mi faceva dormire» commentò.

Annuii e nascosi la bocca nella tazza di caffè, cercando di mascherare una leggerissima delusione, nonostante gli avessi detto io che non sarebbe affatto stato un problema per me se fosse partito, dato che aveva moltissime cose da fare con le assunzioni e la ristrutturazione del locale. Inoltre mi aveva detto che mentre era qui stavano facendo dei lavori in casa e che quando sarei tornata l'avrei trovata più grande.

«Sei pronta? Vuoi che venga con te?» mi chiese dolcemente. Sarei dovuta andare da mio zio per dire tutta la verità a mia cugina: non meritava di essere tenuta all'oscuro più di quanto fossi stata io.
«No grazie, devo farlo da sola» sorrisi e mi preparai, cercando di ignorare il fantasma di Dylan in ogni cosa facessi.

Era frustrante, non potevo fare niente senza finire a pensare a lui: non potevo aprire il frigo affamata senza pensare a lui che cucinava per me, non potevo truccarmi perché pensavo a lui che mi scompigliava i capelli mente mi mettevo il mascara, in modo da dover pulire i danni del trucco e sistemare di nuovo i capelli. Ogni volta gli lanciavo quello che mi capitava sotto mano, sapendo che lui avrebbe schivato tutto e ci facevamo tantissime risate.

Oppure mentre guidavo non riuscivo a non pensare a quando mi metteva la mano sulla gamba e mi accarezzava dolcemente... Io puntualmente alzavo gli occhi al cielo anche se non riuscivo mai a fare a meno di sorridere.

Perfino quando mi sorprendeva con gesti di galanteria, tipo aprirmi lo sportello della macchina o le porta di casa, mi faceva alzare gli occhi al cielo, ma la verità era che mi piaceva. E oramai mi ero abituata alla sua dolce e fastidiosa presenza.

Scesi dalla macchina e sbattei con troppa forza la portiera, sperando che i miei pensieri rimanessero chiusi dentro la macchina. Arrivai davanti alla porta alquanto nervosa, bussai un po' troppo forte e dopo pochi secondi mio zio mi aprì con il sorriso.

In quei giorni che erano passati ci eravamo riappacificati, avevo cercato di essere razionale: era il padre che avevo sempre desiderato, non avrebbe avuto senso non volerlo adesso. Avevo capito le sue motivazioni e, nonostante la ferita fosse ancora fresca, stavo cercando di trarre il meglio da quella situazione. Mia cugina Alex però, aveva il diritto di saperlo, aveva sedici anni e non era più una bambina.

«Ciao Freya» mi salutò dolcemente il mio nuovo padre, indeciso se abbracciarmi oppure no. Mi limitai a sorridergli a mia volta e incrociare le braccia al petto.
«Freya! O mio Dio» Alex mi interruppe prima di poter rispondere e mi corse incontro abbracciandomi.
«Ciao piccola peste» ricambiai l'abbraccio e iniziai a sentirmi leggermente in colpa per quello che stavamo per dirle.

Alexandra Turner, chiamata da tutti Alex a tal punto da far dimenticare agli altri quale fosse il suo vero nome, aveva occhi e capelli castani, aveva sedici anni, anche se esteticamente sembrava un paio d'anni più grande, ed era in piena ribellione adolescenziale: era sveglia, testarda, impulsiva e permalosa. Suo padre doveva essere un angelo per riuscire a gestirla così bene.
Eravamo sempre state estremamente legate, la aiutavo in qualsiasi occasione, se mi avesse chiamato nel mezzo della notte, non che non l'avesse mai fatto, sarei corsa subito da lei. Come una sorella.

LA's Devil - dicono che tu sia il diavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora