Capitolo 20: Un bagno di sangue

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Mi raggelo nel sentirmi chiamare così da qualcuno che non sia Dylan e in più per il fatto che questo ragazzo abbia indagato su Dylan per deconcentrarlo e vincere un incontro!
«Non riesci a vincere un'incontro solo con le tue capacità?» lo sfido, perché a quel punto era l'unica opzione possibile. È sorprendente come la chiave di questo tizio qui, di cui molti avevano paura fosse distrarre l'avversario, così sono bravi tutti a vincere! È completamente ridicolo.
Lui ridacchia e con la mano mi tocca il viso, ma io lo scosto immediatamente, spingendolo via. Non sarei stata la causa della distrazione di Dylan, anche se le parole "Io non perdo" continuavano a rimbombarmi nella mente.
«Mi hai reso le cose molto più semplici»
«Fottiti» faccio appello a tutto il mio autocontrollo per non schiaffeggiarlo con il vassoio e mi allontano bruscamente da lui, per essere tirata altrettanto bruscamente da un'altra persona. Non ho dubbi su chi sia, ma non potevo permettermi di distrarlo ulteriormente o di farci vedere da quel tizio, fornendogli altri modi per battere Dylan con l'inganno.
«Mi spieghi cosa cazzo fai?» ringhia stringendomi il braccio con la mano bendata.
«Dylan ti prego fammi andare» lo scongiuro con, più che inaspettata, dolcezza. Lui sembra destabilizzarsi per un attimo e riprendersi subito dopo.
«Sei fortunata che abbiamo fatto quella cazzo di scommessa, sennò ti direi che devi smetterla di parlare con gli psicopatici» dice lasciandomi di colpo il braccio, non l'avevo mai visto così teso. Mi chiedo se conosca i "trucchi" di Anthony e si stia arrabbiando perché gli stava permettendo di manipolarlo.
«Dyl, per favore concentrati» lo supplico, ma vengo interrotta da Adam che chiama Anthony e Dylan come ultimi lottatori della serata. A questo punto Dylan mi lascia lì impalata, lanciandomi un ultimo sguardo sicuro, per poi salire sul ring al centro della stanza. Lo vedo scambiare qualche parola con Adam, che assume un'espressione che è un misto tra preoccupazione e disappunto, per poi generare una discussione che dura all'incirca un minuto.
«Signori un momento di attenzione, essendo questo l'ultimo incontro della serata, non potrete più ordinare dal tavolo, fatta eccezione per i membri del privè» le parole di Adam creano un brusio di disapprovazione e di seccatura in tutta la stanza, mentre io trattengo un sorriso, sorpresa dal gesto di Dylan. Probabilmente l'aveva fatto in un impulso di possessività o egoismo, ma non potevo saperlo. Ciò che so è che tutti i tavoli del privè li avevo già serviti, quindi mi sarei potuta godere l'incontro crogiolandomi nella mia ansia.

Vedo Anthony che dice qualcosa a Dylan mentre si mettono in posizione e il suo sguardo si scurisce. Ho il cuore a mille, mi chiedo cosa possa avergli detto dato che, per la prima volta da quello che sapevo, Dylan attacca per primo.
Il colpo ovviamente va a segno dritto sulla guancia dell'avversario che, sputato il sangue per terra, espone un sorriso macchiato di rosso. Dylan sta facendo quello che Anthony voleva che facesse, e non andava affatto bene. Di fatto, appena Dylan si distrae un attimo per incrociare il mio sguardo, il biondo gli assesta un pugno come il suo, in pieno volto, seguito da una sonora ginocchiata nello stomaco. Avrebbe anche continuato se Dylan non lo avesse allontanato tirandogli un calcio, per permettere a se stesso di riprendersi. Lo vedo sputare troppo sangue e mi copro la bocca con la mano.
«Sappi che se perderà sarà solo colpa tua» una voce mi fa sobbalzare e quando mi giro vedo Moona, la ragazza che stava sempre attaccata a Dylan, a cui avevo dato della zoccola. Ops. Purtroppo però, aveva ragione. Se avesse perso sarebbe stata colpa mia, che avevo permesso a quel pazzo di distrarlo.
«Non voglio sentirti» dico senza staccare gli occhi da Dylan, che aveva ripreso il controllo della situazione. Sembrava un demone: calmo, spietato e letale. Continuava a colpire Wyatt che era più impegnato a pulirsi dal sangue che a difendersi; Dylan non era messo molto meglio, aveva le labbra spaccate, uno zigomo con un taglio molto profondo da cui sgorgava un'infinità di sangue così come una tempia.
«Io ero l'unica per lui prima che arrivassi tu, mi amava!» mi dice con le lacrime agli occhi. Ero sicura che la sua realtà fosse distorta, non era possibile che Dylan amasse una come lei anzi, non era possibile che Dylan amasse! Però mi dispiaceva molto per lei, amare qualcuno di così cinico ed egoista, io non ci riuscirei mai.
«Mi dispiace, Moona» dico sinceramente guardandola negli occhi. Lei sembra essere sul punto di un crollo psicologico, una crisi di nervi e sul punto di esplodere, mi fa anche un po' paura sinceramente. Ad un certo punto sento un dolore alla guancia e la guardo sconcertata. Mi ha tirato uno schiaffo.
È incredibile quanto sia squilibrata questa ragazza, ma d'altronde non mi sento nemmeno in vena di risponderle a dovere, capisco la sua situazione e il suo bisogno di sfogarsi, ma ovviamente anche il mio orgoglio avrebbe voluto tirarle uno schifo.
Un tonfo e una campanella ci distolgono entrambe dai nostri pensieri ed entrambe, preoccupate, ci giriamo a guardare il ring. Finalmente sento di poter respirare di nuovo, quando vedo Anthony per terra e Dylan vincitore in piedi, completamente insanguinato.
«Stava durando troppo» sentiamo che dice al suo avversario stremato ad un angolo del ring.  Appena scende vede me e la sua "amica" vicine e assume uno sguardo leggermente confuso. Sapevo che per Moona era molto più importante essere con lui in quel momento, quindi le sussurro un "vai" con le labbra e lei corre da lui, che sembra essere ancora più confuso di prima. Gli volto le spalle e corro al piano di sopra da Grace, che si precipita verso di me preoccupata.
«Dylan ha vinto?» annuisco. Mi sembrava di essere stata liberata da un peso enorme e non vedevo l'ora di vederlo.
«Che ne dici se domani andiamo a pranzo insieme?» mi propone. Mi avrebbe fatto bene uscire e svagarmi un po', soprattutto con Grace che riusciva a portare un po di luce nella vita di qualsiasi persona.
«Sarebbe fantastico»
«Allora ci sentiamo» mi saluta togliendosi il grambiule, essendo ormai ora di chiudere il locale, che si svuota velocemente, ma ancora non c'è alcuna traccia di Dylan o di Moona. Evidentemente lasciarla andare a congratularsi con lui dopo l'incontro aveva dato i suoi frutti, quindi decido di non aspettare oltre e tornare a casa a piedi.
Se avessi detto a qualsiasi persona quello che era successo mi avrebbe preso per folle, dato che in pratica li avevo spinti a scopare dopo che lei mi aveva tirato uno schiaffo... Sono un genio direi.
Il fatto che Dylan l'abbia fatto era però una dimostrazione di quanto fosse un animale che si serviva della prima ragazza che vedeva e che si dimostrava essere sottomessa a lui, pur di soddisfare le sue esigenze. Mi chiedo cosa ci trovino le ragazze in lui, per di accettare di essere usate ad un unico scopo pur di "stare" con lui. Era ridicolo, insensato ed era la dimostrazione di quanto alcune ragazze fossero prive di dignità. Dato che cammino veloce arrivo a casa di Dylan in 20 minuti e una volta arrivata davanti alla porta mi sbatto una mano sulla fronte. Ha lui le fottutissime chiavi. Sono le tre del mattino, sono stanca, sono agitata, sono nervosa e sono irritata; tutto ciò che devo fare è pensare come lui e sperare che abbia nascosto una chiave di riserva. Provo a cercare sotto lo zerbino, sotto il termosifone, sotto delle piante, sopra la porta (arrampicandomi nei posti più strani) ma niente. Nessuna chiave. Sbuffo e tiro un leggero calcio alla porta, quando all'improvviso mi tornano alla mente le parole di Mia, che la prima volta che lo vidi mi disse che era il diavolo e allora il mio sguardo si punta immediatamente sul numero accanto alla porta, che indicava il piano: il 6. Sollevo il bordo argentato del numero e con mia grande soddisfazione vedo incastrata al suo interno la chiave dell'appartamento.
Apro la porta e la rimetto al suo posto, buttandomi sul letto in meno di un secondo. Non sono mai stata in casa di Dylan da sola e non so quando mi ricapiterà, quindi colgo al volo l'occasione per dare un'occhiata in giro. È davvero grande per essere un'appartamento, ha delle stanze davvero grandi, sulle quali non mi ero mai particolarmente soffermata. La camera da letto, oltre ad avere un bagno privato, ha una porta che permette di accedere ad una spaziosa cabina con gli armadi sui lati orizzontali della stanza mentre sul lato opposto all'entrata c'è un grande specchio a muro. Il soggiorno è ovviamente la stanza più grande, con al centro un lungo divano rosso scuro che di fronte ha una grandissima TV con accanto un tavolo da biliardo, anche questo rosso scuro, dietro al quale c'è un bancone e degli armadietti trasparenti pieni di alcolici. Dietro il soggiorno c'è la cucina, composta da un ambiente aperto a cui si accedeva senza porte, che presenta due grandi mobili a muro di mogano rosso, ai lati opposti, uno dei quali ospita i fornelli mentre l'altro il lavandino; al centro tra i due mobili c'è un'isola quadrata, nera, con due sgabelli su ogni lato. Uscendo della cucina c'è un corto corridoio che porta all'ultima stanza, una palestra piena di macchinari e attrezzi che non so nemmeno come si usino. Finito il breve tour della casa, decido di cambiarmi e di mettermi in "pigiama" che consiste semplicemente in una delle grandi magliette bianche con scollo a v del mio ex, Kyle, che mi arriva a metà coscia. Non ho mai buttato quelle magliette perché non erano un brutto ricordo, anzi, erano legate a tanti bei ricordi. Io e Kyle siamo rimasti in ottimi rapporti e siamo buoni amici, ci sentiamo spesso e non è affatto strano per nessuno dei due, d'altronde siamo stati insieme per più di un anno. Siamo stati fortunati ad avere una fine così, causata dalla distanza e non da qualche evento particolare: lui infatti si era trasferito proprio qui qualche mese dopo la fine dell'ultimo anno e devo ammettere che era stato duro sopportare anche la sua partenza, ma nessuno dei due era in grado di sopportare una relazione a distanza. Man mano, l'affetto che provavamo l'uno per l'altra si è trasformato in amicizia e ora nessuno dei due pensa di poter mai tornare insieme. Perfetto direi. Mi lego i capelli in uno chignon disordinato e mi guardo allo specchio: mi piace come il bianco della maglietta faccia contrasto con i miei capelli scuri e la mia pelle abbronzata. Inizio a credere che Dylan non tornerà a casa stanotte e involontariamente tiro un sospiro di sollievo e vado in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Ho parlato troppo presto. Il forte sbattere della porta mi fa sobbalzare e mi pento di aver subito gioito della sua prematura assenza. Poso il bicchiere dentro il lavandino e appoggio la schiena all'isola.
«Mi spieghi dove cazzo eri?» mi chiede arrabbiato raggiungendomi in poche falcate; aveva ancora il viso sporco di sangue.
«Era chiaro che avevi altro da fare e sono tornata a piedi» dico alludendo alla sua cara amica. Lui capisce la frecciatina e sghignazza.
«Chiariamo subito una cosa» si interrompe e mi solleva per le gambe, facendomi sedere sull'isola. Il mio cuore salta un battito e io impulsivamente allaccio le mani intorno al suo collo e le gambe intorno intorno alla sua schiena, ritrovandoci così pericolosamente avvinghiati. Lui sembra soddisfatto della reazione che quel gesto ha avuto in me e sorride per un attimo prima di tornare arrabbiato.
«Io e Moona non abbiamo fatto niente»
«Okay non mi devi spiegazioni» ribatto sicura.
«Avresti dovuto aspettarmi» insiste.
«Non esiste che io stia ai tuoi comodi» chiudo la breve discussione. Eravamo entrambi troppo testardi, ma lui era limitato dal non poter dire nulla che somigliasse lontanamente a un ordine, quindi era in grande svantaggio.
«Non sai cosa ti farei in questo momento se solo potessi» dice stuzzicando il mio naso con il suo, mentre la sua mano mi accarezzava la coscia nuda, sfiorando talvolta il pizzo nero delle mutandine, allora decido di provocarlo anche io a mia volta.
«Pensa che potresti farmi tutto quello che vuoi-» dico accostandomi al suo orecchio e graffiandogli leggermente la schiena, cosa che lo fa irrigidire e avvicinarsi di più.
«-se perdessi la scommessa» continuo ritornando sulle sue labbra, sfidandolo.
«Non succederà mai» ribatte prendendo il mio labbro inferiore tra i denti e stringendolo leggermente, quel poco che bastava per farmi desiderare di baciarlo e di perdere, ma fortunatamente riesco a recuperare un minimo di autocontrollo per non commettere un errore imperdonabile.
«Direi che è ora di fare qualcosa per la tua faccia» cambio argomento scendendo senza il suo permesso dal bancone e dirigendomi in camera da letto. Mi ricordo che nel bagno, sotto il lavandino, c'è una cassetta di emergenza che prendo e poso sul letto, aspettando che lui si sieda.
«Di chi è questa maglietta?» mi chiede mentre si siede e mi trascina per i fianchi, portandomi a stare a cavalcioni su di lui. Alzo gli occhi al cielo mentre metto il disinfettante sul un batuffolo di cotone e lo passo sulla ferita più profonda, quella sullo zigomo. Lui sobbalza leggermente a causa di quel contatto improvviso. Proseguo con le ferite sulla fronte, sul sopracciglio e sul labbro; riacquista così un'aria un po' meno minacciosa.
«Di chi è?» mi chiede di nuovo bloccandomi il polso.
«Del mio ex»
Lui a quel punto fa una risatina sarcastica di disapprovazione e si toglie la maglietta, rischiando di farmi cadere, e la posa accanto a sé. Dopodiché afferra i bordi della mia e li solleva, lanciandola lontano e facendo aumentare la mia frequenza cardiaca in modo spaventoso.
Lui sapeva perfettamente di non potermi dare ordini come sapeva che non sarei voluta rimanere in quelle condizioni davanti a lui, d'altro canto io ero a conoscenza del fatto che lui volesse solo "marcare il territorio", facendomi indossare la sua maglietta. Provocarlo in questa situazione sarebbe troppo rischioso, quindi gliela do vinta e indosso la maglietta nera, controvoglia.

Non avevo mai indossato una sua maglietta, almeno non una che era intrisa del suo profumo, dato che l'unica che avevo mai indossato era bianca e molto probabilmente inutilizzata. Profuma di mare. Diciamo che Dylan può essere paragonato al mare, selvaggio, incontrollabile, spaventoso e se non stai attento puoi annegare. Stare con lui mi fa sentire libera e mi permette di non dare conto a nessuno, di essere me stessa anche se odio ammetterlo. Non ho la pressione di dover fare bella impressione per piacergli, dato che non lo sopporto. Non vedo l'ora che perda.
«Stai meglio così» mi dice muovendo le dita in modo circolare sui miei fianchi.
«Ma senza niente addosso stavi molto meglio» continua.
«Allora perché mi hai fatto mettere questa?» dico indicando con lo sguardo la sua t-shirt, il cui profumo mi stava inebriando tutti i sensi.
«Perché non ha senso se non posso farti nulla» la vicinanza delle sue labbra alle mie mi spinge solo ad essere determinata a farlo perdere.
«E mai potrai» ribadisco alzandomi e prendendo posto nella mia metà del letto, soddisfatta di averlo lasciato lì, inaspettatamente deluso.
«Non ci scommetterei»
Rido perché entrambi abbiamo un serio problema con le scommesse e entrambi sappiamo che tra di noi non ci sarà mai nulla all'infuori dell'attrazione fisica. Durante questi folli ragionamenti dettati dal sonno inizio a sentirmi le palpebre pesanti e mi addormento avvolta dal suo profumo.

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Ragazzi scusate, questo capitolo non è troppo dinamico e ci sono sicuramente molti errori, ma come promesso a 10 commenti avrei pubblicato. Fatemi sapere cosa ne pensato e cosa vorreste che succedesse dopo.
Un bacio 💘 10 commenti per il prossimo capitolo

LA's Devil - dicono che tu sia il diavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora