«Bimba andiamo a casa» dice il moro tra un bacio e l'altro, il tono leggermente affannato. Io annuisco fermandomi un secondo a guardarlo negli occhi, riprendendo poi posto sul sedile del passeggero, passandomi nervosamente le dita tra i capelli. Sinceramente non capisco che mi succeda, perché io per la prima volta in vita mia sia incoerente con me stessa. Probabilmente l'attrazione fisica per questo ragazzo è troppo forte e il mio corpo ha bisogno di svagarsi un po'... è naturale d'altronde.
Mette in moto e parte a tutta velocità, e nonostante il momento appena vissuto, io non facevo altro che pensare a che cosa avesse fatto Dylan per essere così influente su tutto e tutti. A interrompere questi miei loschi pensieri è lui stesso, che mi posa una mano sulla coscia, stringendola leggermente.
Arrivati a casa scendiamo dalla macchina e ci limitiamo a guardarci negli occhi ogni tanto e arrivati in ascensore passano solo pochi secondi prima che questo si blocchi. Non ci posso credere. Sembra un complotto dell'universo per farmi capitare in queste situazioni con lui, ed è evidente che non posso resistergli affatto.«Non è possibile» sbuffo passandomi una mano sul viso.
«Cosa c'è? Non vedevi l'ora di saltarmi addosso oppure sei seccata che l'ascensore non si sia schiantato al suolo?» chiede sarcastico.
«La seconda, ovviamente» dico iniziando a fare avanti e indietro per l'ascensore. Non avrei potuto mai ammettere che fosse stata la prima, anche perché non era del tutto vero. Mi bastava sentirlo parlare per far sparire all'istante qualsiasi attrazione fisica. Era incredibile quanto fosse odioso, presuntuoso, egoista...
«Cos'altro? Inaffidabile, disonesto, insensibile?» mi blocco, chiedendomi come possa aver fatto a leggermi così nel pensiero tanto da mettermi paura. E oggi, oltre ad essere stata incoerente sono stata anche senza parole, di solito so sempre cosa rispondere e non ho peli sulla lingua, ma in questa situazione non so proprio cosa rispondere.
«Sì, è esattamente quello che sei»
«Giusto per curiosità, cosa ti ho fatto stavolta?» chiede tirandomi a sé mettendo le dita sotto il bordo superiore dei pantaloncini e toccando inevitabilmente la pelle nuda. Il sentire le sue dita accarezzare quella parte così delicata del mio corpo mi fa venire i brividi, ma non posso permettermi di continuare con questa storia.
«Cose tipo questa!» dico allontanandomi bruscamente da lui, disponendomi nell'angolo dell'ascensore di fronte al suo.
«Credi che tutto il mondo sia ai tuoi piedi mentre in realtà non sei nessuno» continuo con cattiveria. Tutto ciò sembra non turbarlo minimamente, anzi sembra quasi esserci abituato e felice nel sentirsi dire queste cose, come se fosse soddisfatto della persona che è. Ma non c'è niente di cui essere fieri.
«Cosa c'è da sghignazzare?» alzo gli occhi al cielo.
«Rido perché stai cercando qualsiasi pretesto pur di non ammettere che sei attratta da me» purtroppo in quel piccolo ascensore quadrato nessun punto era abbastanza lontano, infatti in una falcata mi raggiunge.
«Vorresti dire che non sei come credo?»
«Assolutamente no, sono esattamente come credi ma tu non hai negato che sei attratta da me» controbatte avvicinando il suo viso al mio, cercando di intimorirmi. Una mano è poggiata al lato della mia testa e l'altra accarezza il bordo della mia maglietta, infilandocisi sotto. Io lo scosto immediatamente, anche se avere la sua mano così vicina alla mia cintura mi faceva fare pensieri poco casti, nonostante il mio odio per lui. Questa volta sono determinata a non dargliela vinta: voglio e devo tenergli testa, magari mi avrebbe lasciato in pace.
«Rivoglio la scommessa»
Lui si raggela improvvisamente e un sorrisino soddisfatto inizia a comparire sul mio volto. Ero pronta a rischiare tutto.
«Come scusa?» dice il moro alzando le sopracciglia, incredulo.
«Hai capito. Quando ho perso era evidentemente una situazione più che particolare, mi ero già data per morta e sai come vanno queste cose...» Ed era estremamente vero: in situazioni di pericolo prossime alla morte si tende a fare la cosa più significativa possibile, più disperata, più teatrale o comunque vogliamo definirla. In quel caso era inevitabile, e cosa potevo fare se non baciare Dylan? Non reputo di dover pagare per una decisione presa in un momento critico.
«Non cambia il fatto che hai perso, bimba» dice sottolineando il soprannome e la sua vittoria. Sbuffo sonoramente ma nessuno dei due si smuove dalla sua posizione. Dopo un po' continua: «Facciamo un compromesso: rifacciamo la scommessa e se perdo io, cosa altamente improbabile, te ne vai immediatamente da casa mia e ovviamente smetto di chiamarti bimba, ma se perdi tu resti con me per un altro mese»
Ero senza parole un'altra volta, ma non potevo darlo a vedere. Il solo pensiero però di dover stare con lui due interi mesi mi spaventava e mi irritava a morte. Non trovavo che così fosse equo, se avesse vinto lui mi avrebbe avuto costantemente nella sua vita e io l'avrei avuto nella mia, non avrei potuto resistere. Immaginavo di dovermi svegliare vicino a lui, fare colazione con lui, usare la stessa doccia, sopportare tutte le ragazze che si porta a casa quotidianamente... Che schifo.
«Dato che non mi sembra equilibrata come cosa, vorrei aggiungere che se perdi tu dovrai smettere di darmi ordini quando sono a lavoro, quando mi incontri per strada, quando siamo in pubblico, quando siamo da soli... Sempre» era la mia possibilità di eliminare una delle cose che più mi davano fastidio di lui e che più mi limitavano agli occhi degli altri.
Era semplice a quel punto: io sarei stata comunque un mese da lui ma me ne sarei potuta andare se lui avesse perso la nuova scommessa, chiamandomi bimba, baciandomi o dandomi ordini. Sarei dovuta restare due mesi con lui se l'avessi baciato e se avessi indagato su di lui. Mi sembrava equilibrato.
«Quindi se vinci smetto di chiamarti bimba, di darti ordini e te ne vai da casa mia. Ci sto» solo a quel punto abbassa il braccio che fino a quel momento aveva poggiato accanto alla mia testa e mi da la mano. Avevamo un patto e stavolta sarebbe stato lui a perdere, rivoglio la mia libertà.
«Come facciamo con questo coso?» chiedo riferendomi all'ascensore, ormai bloccato da dieci minuti e il pulsante del l'allarme che lampeggia ininterrottamente, ma d'altro canto chi poteva aiutarci a quest'ora?
Non era uno di quegli ascensori da cui i protagonisti dei film uscivano dal soffitto, qui non c'era nulla che potessimo usare per uscire. Dylan infatti è appoggiato con le mani dietro la schiena e lo sguardo verso l'alto, biasimando la struttura di quel maledetto ascensore. Io ne approfitto per guardare i suoi tatuaggi, su cui non mi ero mai soffermata particolarmente. Sulla parte sinistra del collo ha un elettrocardiogramma disegnato in verticale, molto sottile. Proseguendo c'è un tatuaggio sul bicipite destro che spuntava dalla maglietta nera, però non riesco a capire cosa sia. Sull'avambraccio destro ci sono due teschi che si baciano e quella che immaginavo fosse la femmina ha le dita scheletriche appoggiate sul mento di lui, invece poco più in alto del gomito sinistro, esternamente, c'è incisa la data 1996 e scendendo alla parte interna, sul polso, ci sono disegnati due dadi. Sul dorso della mano ci sono due teste di serpente, una arriva all'indice e una al pollice ed entrambe hanno i corpi che si estendono e si intrecciano sul dorso dell'avambraccio. Infine sul dorso delle dita della mano destra ci sono i 4 semi delle carte da gioco. Tutti i tatuaggi sono rigorosamente in bianco e nero, ad esclusione del cuore che ha sul medio che è però coperto da un massiccio anello di metallo. Trovo estremamente affascinanti tutti quei tatuaggi e molto da lui. Non ne ha troppi e mi chiedo se ne abbia anche sotto la maglietta.
«Tra un'ora ho un incontro» dice con nonchalance guardando l'ora, seccato da quella situazione e preso dalla voglia di prepararsi per l'incontro.
«È per questo che mi hai fatto andare via?» chiedo arrabbiata, incredula di quanto controllo volesse avere su di me. Lui annuisce. Ma la scoperta è arrivata al momento giusto, perché finché qualcuno dei due non avesse perso, avrei potuto fare quello che volevo.
«Perfetto, la prima cosa che farò usciti da questa scatola sarà tornare a lavoro, dove dovrei essere e chiederò di servire di sotto stasera» dico con un sorriso di pura soddisfazione. E come era prevedibile che succedesse ci ritroviamo di nuovo attaccati.
«Vedi che sei tu che non riesci a resistermi?» ghigno ancora, mentre guardo i suoi occhi infuriati e il suo petto fare su e giù vigorosamente.
«Perché sentì il bisogno di farmi costantemente incazzare?» ringhia. I suoi occhi si scuriscono ancora di più se possibile, ma a me non fa paura, contrariamente al resto del mondo.
«Sento il bisogno di essere me stessa»
«Non prendermi per il culo, ti piace da morire vedermi incazzato a quanto pare. Tu non... Stasera... Cristo» impreca alla fine, allontanandosi da me e passandosi una mano tra i capelli corvini. Era divertentissimo vederlo impazzire per il fatto di non potermi dare ordini. Dovevo ammetterlo, vederlo incazzato mi piaceva e purtroppo, lo rendeva anche più sexy, con tutti i muscoli in risalto...
L'ascensore riparte improvvisamente e nessuno dei due si sposta dalla sua posizione. Arrivati all'ultimo piano io esco prima di lui e appoggio la schiena alla porta in attesa che mi raggiunga.
«Mi fai almeno aprire la porta?» chiede scazzato. Allora io alzo le mani in segno di resa e mi giro per andarmene e permettergli di eseguire il suo compito, ma mi ritrovo incastrata nella sua stretta. Sento il suo respiro potente e irregolare sul collo che fa diventare irregolare anche il mio.
«I baci sul collo sono baci?» mi chiede con voce roca.
«Sì» rispondo secca, mantenendo lo sguardo fisso sulla porta cercando di ignorare le sue mani su di me. All'improvviso sento un dolore acuto ma non troppo forte o doloroso sul collo. Mi ha morsa.
«Davvero?!» esclamo ironica toccandomi il punto in questione.
«Non è un bacio» controbatte, innocente. Quel morso sembrava essere solo la punta dell'iceberg di rabbia che gli stavo creando dentro e sentirlo su di me mi destabilizzava completamente tutti i sensi.
Sono rimasta immobile e non mi sono accorta che lui ha aperto la porta ed è già entrato, mentre io sono bloccata sull'uscio. Sbatto la porta alle mie spalle ed entro in camera da letto per guardarmi allo specchio, e trovo Dylan senza maglietta, quindi approfitto per guardare il tatuaggio sul bicipite: è un orologio che si sta sciogliendo. Noto però anche un altro tatuaggio, sul fianco sinistro con su scritto "I am". Quel tatuaggio, per quanto ne sapevo, era il più significativo di tutti: significa che lui è al centro dell'universo, il suo e quello degli altri, che tutti stanno al suo comando, perché lui è. Molto filosofica come scritta.
«Ne ho anche uno sulla schiena se te lo stai chiedendo» dice senza alzare lo sguardo dal borsone che sta preparando, mettendoci dentro bende da combattimento, una maglietta di ricambio ovviamente nera, e altre cianfrusaglie che non so cosa siano. Quando si gira vedo che sul fondo della schiena, poco sopra la cinta dei pantaloni, ha una scritta di piccole dimensioni che dice "In the waves of change we find our true direction". Non lo facevo il tipo da frasi così profonde. Ma ciò che mi interessa in questo momento è sapere se ho indovinato il significato del tatuaggio sul fianco.
«Cosa intende quell' "I am"?» chiedo.
«"Io sono e non posso essere contrastato"» immaginavo. Tipico di lui. Ridacchio e mi guardo allo specchio, aggiustandomi i capelli e rimettendomi il rossetto rosso, osservando il riflesso di Dylan che mi stava guardando con sguardo famelico.
«Contro chi devi combattere?» chiedo curiosa.
«Fai troppe domande» risponde chiudendo il borsone e mettendosi un'altra maglietta, sempre nera. Mi chiedevo se avesse altri colori in quello stupido armadio. Alzo le spalle mentre passo in rassegna i poster delle band e i gadget appesi al muro. Sbuffa e dopo continua a parlare: «Anthony Wyatt» non aggiunge altro. Il nome mi suona familiare e mi ricordo che Baxter una volta me ne aveva parlato, se avesse vinto contro quello schizofrenico che l'ha quasi ucciso avrebbe dovuto affrontare lui, ed era uno dei lottatori più forti e spietati che fossero mai saliti su quel ring. Era un ragazzo giovane, della stessa età di Dylan credo e faceva incredibilmente paura perché sembrava non provare nulla durante i combattimenti, né paura o ansia, gioia della vittoria o nervosismo nella sconfitta, completamente apatico. Sembrava provare qualcosa solamente nel vedere il sangue dell'avversario scorrere sulle sue mani; di solito conciava i suoi avversari molto, molto male. Una volta aveva rotto quasi tutte le ossa della faccia e quattro costole all'avversario, tanto che era irriconoscibile a fine incontro. Solamente nel ricordare le parole di Bax una leggera ansia per l'incolumità di Dylan iniziava a farsi largo dentro di me e ammetterlo a me stessa mi costava tanto.
«Solo... Sta' attento» dico a bassa voce, passandomi una mano tra i capelli e abbassando lo sguardo, nervosa nel dire una frase del genere, così fragile e fraintendibile.
«Non devi preoccuparti per me. Io non perdo» afferma sicuro. Tutta quella sicurezza in quella circostanza lo rendeva solamente più affascinante. Quando mi giro me lo ritrovo a meno di un metro di distanza, non mi sono nemmeno accorta che si fosse spostato per quanto mi ritrovavo immersa nella preoccupazione di quell'incontro.
Lui mi scosta la mano dai capelli per permettere ai nostri occhi di intrecciarsi intensamente e ripete, «Io non perdo».
È proprio in questi momenti che resistergli è difficile, quando ci troviamo in queste situazioni così intense, così vicini e quando nessuno dei due sa cosa cosa succederà dopo.
«Sai, non è dal baciarti che mi sto trattenendo»
Senza parole, terza volta in un giorno. Mi capitava solamente con lui e, ovviamente, per non darlo a vedere, alzo gli occhi al cielo allontanandomi, specchiandomi un'ultima volta e uscendo dalla porta, diretta alla macchina seguita da lui.
«Io faccio le scale» dico ridendo e aprendo la porta che conduce alle scale. Sei piani a piedi non erano uno scherzo, ma non potevamo rischiare che l'ascensore si bloccasse un'altra volta. Non sento la presenza di Dylan per tutto il tragitto, e se non avessi sentito i suoi passi avrei anche dubitato anche che fosse dietro di me. Arrivata alla penultima rampa di scale decido intelligentemente di inciampare sull'ultimo gradino, ed è proprio la mano di Dylan a salvarmi, posandosi sul mio ventre e impedendomi di scendere le scale rimanenti rotolando. Ristabilito l'equilibrio nessuno dei due si muove, resto con la schiena appoggiata al suo petto e la sua mano resta su di me, accarezzandomi. Poso incoscientemente la mano sulla sua e le nostre dita iniziano a intrecciarsi e stuzzicarsi, mentre i due serpenti sulla sua mano si muovono e vengono messi in risalto dalle vene.
«Farai tardi» riesco a dire, togliendo la mano da sopra la sua, ma lui continua a non dire una parola e, per quanto fosse bello sentirlo stare zitto, non ci ero abituata. La mia preoccupazione per l'incontro va via via aumentando e in macchina raggiunge il suo apice. Guida molto in fretta nella notte e persino quando arriviamo al locale non ci rivolgiamo la parola, ci limitiamo a lanciarci sguardi; se avessi voluto lavorare di sotto però mi sarebbe servito l'aiuto di Dylan per convincere Mark, dato che sembrava detenere il potere più di lui...
«Dylan» lo chiamo prima che lui apra la porta sul retro.
«Dimmi»
«Se voglio lavorare di sotto mi serve il tuo aiuto» dico a denti stretti, mi costava ammettere di aver bisogno di lui.
Lui ridacchia abbassando lo sguardo e meccanicamente si passa una mano tra i capelli, come sempre.
«Non se ne parla» controbatte. Preferisco quando resta zitto.
«È un ordine?» dico alzando le sopracciglia, quasi vittoriosa.
«No.» si affretta a rispondere. Restiamo a fissarci per altri secondi e solo dopo un po' cede, ricordandosi che non avrebbe potuto ordinarmi di stare lontana da quella stanza. Appena finisce di parlare con Mark, estremamente confuso dalla situazione, corro da Grace, senza nemmeno salutarlo.
«Sei tornata!» esclama in preda alla gioia, dato che da un'ora stava sopportando Mark che era disperato per il fatto che Grace era da sola e non aveva nessuno che potesse servire nella sala dei combattimenti.
«Devo servire di sotto stasera» dico. Ho bisogno di consigli, non so cosa aspettarmi essendoci stata una volta sola.
«Allora, innanzitutto devi sapere che la clientela è molto particolare, più di quella che c'è qui sopra. Sono più selvaggi, più fomentati e ovviamente più ubriachi. Ti toccheranno ovunque quindi devi cercare di mantenere la calma e andare avanti. Ai lati del ring ci sono i tavoli che sono gli unici che devi servire, gli unici. Ricordatelo. Tutti gli altri si servono da soli al bancone che è vicino le scale, appena scendi. Lì ti fai preparare i drink e li porti ai tavoli. Poi c'è il privè, riservato ai lottatori, devi servire anche loro. Tutto semplice. No?» annuisco. L'incontro inizia tra 10 minuti e devo iniziare a familiarizzare con l'ambiente, quindi scendo gli scalini corsa e parlo con Mark, che sta preparando i drink al bancone.
Inizio a girare per i tavoli e a mandare a Mark le prime ordinazioni e a portarle ai rispettivi tavoli. Credevo che quello di Dylan sarebbe stato l'unico incontro della serata, invece ho scoperto che è l'ultimo.
Dal privè mi chiamano per prendere un'ordinazione e mi sorprende come alcuni lottatori siano così scelerati da bere prima di un'incontro, chiaramente non era il caso di Dylan che restava sempre concentrato e il cui tavolo era lontano pochi metri da quello che dovevo servire.
«Che vi porto?»
Seduta al tavolo una ragazza sta piangendo e trema, asciugandosi il mascara sbavato con un fazzoletto mentre un'altra ragazza la sta consolando. Accanto a loro un omone vestito di nero sbuffa e si passa le mani sulla testa pelata, frustrato magari di dover badare a quelle ragazze.
«Una vodka lemon e un bicchiere d'acqua per favore» mi ordina l'amica. In piedi accanto a loro c'è anche un ragazzo, molto alto e muscoloso a petto nudo con le mani già bendate, i capelli un po' lunghi erano di un biondo fragola e aveva gli occhi più azzurri che avessi mai visto.
«Anthony, potresti cercarmi un'aspirina?» gli chiede la ragazza che stava piangendo. Lui annuisce e ci metto un attimo a collegare che è quello il ragazzo che Dylan avrebbe dovuto affrontare a momenti.
«Si Anthony ma non metterci molto, tra poco tocca a te» aggiunge l'uomo, che supponevo fosse il suo "manager" o allenatore.
«Posso pensarci io se vuoi» gli dico scatenando il suo sorriso.
«No dai ti accompagno»
Non volevo che mi accompagnasse, non volevo che Dylan ci vedesse insieme e fraintendesse e quindi si deconcentrasse, non poteva permettersi di perdere e rompersi la faccia.
Mark se ne va di colpo e mi ordina di sostituirlo al bancone. Preparo i cocktail il più velocemente possibile, dando la precedenza al tavolo di Anthony mentre lui osserva ogni mio movimento.
«Quella che hai visto è mia sorella, che è appena stata mollata dal ragazzo» dice per fare conversazione; il pensiero di avere un fratello come lui che lo avrebbe potuto distruggere non mi avrebbe tranquillizzato per niente.
«Deve essere davvero stronzo per mollarla ad un'occasione simile»
«Io direi coraggioso» afferma ridendo, alludendo alle sue capacità fisiche. Prendo l'aspirina da sotto il bancone, carico tutto sul vassoio e intraprendo la traversata del coraggio facendomi spazio tra la gente.
Lascio tutto sul tavolo e faccio le solite raccomandazioni alla ragazza, anche se sapevo che non ce n'era bisogno.
«Vuoi sapere qual è il mio segreto per affrontare un avversario importante?» mi chiede poi di colpo, seguendomi mentre mi allontanavo di poco dal suo tavolo.
«Se me lo dicessi non sarebbe più un segreto» controbatto fermandomi, altrimenti non avrei sentito nulla.
«Correrò il rischio. Il mio segreto, è che io osservo. Osservo il mio avversario prima che salga su quel ring, cerco di trovare il suo punto debole, una fonte di distrazione. Si possono capire tante cose osservando una persona. Poi io sono solito parlare sul ring, provocare il mio avversario. Lui si deconcentra ed è in quel momento che vinco.» dice lui avvicinandosi sempre di più.
In quel momento la paura per quell'incontro era schizzata alle stelle così come la mia tachicardia, sapevo che quel discorso non era casuale. Non volevo che Dylan perdesse, non doveva perdere. Ma quel ragazzo mi sembrava un assassino, la stessa concentrazione, lo stesso sguardo, le stesse parole di chi pianifica un omicidio da tanto tempo e che sapeva perfettamente come agire.«Com'è che ti chiama lui? "Bimba"?»
***
I'm baaaaaackkkk, ho tantissime, ma proprio tantissime idee per questa storia e ho messo tutta me stessa in questo capitolo "di ritorno" e infatti è molto più lungo degli altri. Ho cercato di curare di più le descrizioni e di seguire un filo logico tra le varie scene. Festeggiamo con la nuova copertina! Fatemi sapere se vi piace la copertina, se vi piacciono i capitoli di questa lunghezza e sopratutto se vi è piaciuto il capitolo e cosa ne pensate! Cosa succederà durante l'incintro? Chi vincera?
(Mi scuso per gli errori ma proprio non vedevo l'ora di pubblicarlo)
Un bacio! 💘 10 commenti per il prossimo capitolo riusciamo a farli?
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LA's Devil - dicono che tu sia il diavolo
Romans«La prima cosa che ho sentito su di te è stata che nessuna ragazza è in grado di resisterti» dissi e aspettai di vedere la sua reazione. «La seduzione è una mia dote naturale» si vantò. «Sinceramente non capisco come facciano a cascarci» feci spal...