Capitolo 51: Go fuck yourself

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«Mi mancava mia figlia, non dai un abbraccio al tuo unico padre?» disse l'uomo allargando le braccia. Su quella frase avevo parecchie cose da ridire.
«Quante cose sbagliate in questa frase. Che cosa vuoi?» chiesi duramente.
«Andare a cena con mia figlia»
«Tua figlia non vuole» dissi girando le spalle, ma lui con una corsa mi si piazzò davanti e mi impedì di allontanarmi oltre. Lui sbuffò e il suo sguardo fu catturato dal ragazzo appoggiato al muro, in disparte che, come sempre, si rifiutava di lasciarmi da sola in quelle situazioni.

«Piacere, Ed» gli porse la mano ma prima che potesse fare qualsiasi cosa mi interposi tra lui e Dylan e gli posai le mani sul petto.
«No, non è un piacere per nessuno. Andiamo a cena» dissi a mio "padre", bloccando ogni azione sul nascere e spingendolo via verso la porta.
Prima che ce ne andassimo, Dylan catturò la mia attenzione e mi prese da parte.

«Mi dispiace, non vorrei coinvolgerti in tutti questi drammi» prima la scenata di mia madre, ora mio padre... Sembrava che più desiderassi tenerlo al sicuro e felice, più l'universo si opponesse.
«Bimba-» mi posò le mani ai lati della testa, per un attimo socchiusi gli occhi, così come nel momento spiacevole in cui le allontanai da me: non volevo che mio padre ci vedesse e lo usasse come arma di ricatto.
«-per qualsiasi cosa chiamami. Ti aspetto sveglio» leggevo la difficoltà nel suo sguardo. Annuii e presi coraggio, dirigendomi verso mio padre.

Uscii dalla porta senza guardami indietro per controllare se mio padre mi stesse seguendo, ma in poco tempo lo vidi affiancarmi.
«Assomigli sempre più a tua madre»
«Adesso mi insulti anche?» lui rise di gusto, a quel punto mi soffermai ad osservarlo. Era un uomo alto, i capelli che una volta erano castano scuri avevano acquisito qualche precoce sfumatura grigiastra. Gli occhi erano azzurri, ma erano arrossati e la pelle era pallida. Qualsiasi stronzata avrebbe voluto darmi a bere sarebbe stata smentita dal suo aspetto.

Camminammo per un po', in silenzio, ogni domanda che mi faceva veniva brutalmente respinta. "Era il tuo ragazzo?"; "Come va l'università?"; "Lavori?"; "Come mai sei a New York?".
«La vera domanda è: come mai sei tu a New York?» entrammo in una tavola calda anni '50, che probabilmente era davvero datata quell'epoca considerando le piastrelle ingiallite del pavimento. Ci sedemmo sui divanetti rosso fuoco e Ed prese ad analizzare famelicamente il menù con lo sguardo.

«È la mia città, sono nato e cresciuto qui, ci torno spesso» Si, con quali soldi? Probabilmente la droga e i debiti lo avevano messo talmente al verde che era stato costretto a scappare da Miami per non essere picchiato a morte.
«Certo, ci credo» ordinai dei bocconcini di formaggio e jalapeños, amavo il piccante e mi avrebbero trattenuto dal dire qualcosa di impulsivo.
«Per me un doppio cheeseburger con doppio bacon, doppia porzione di patatine, un club sandwich, una porzione di formaggio grigliato e una fetta di cheesecake ai mirtilli» ordinò semplicemente mio padre.

«Scusami, non mangio da un paio di giorni» avrei voluto fregarmene, pensare che non avessi idea di chi fosse l'uomo che mi ritrovavo davanti: volevo ignorare la velata confessione dei sintomi dell'astinenza che lo tormentavano ogni volta che "provava" a smettere.
«Astinenza, di nuovo» cercai di mascherare il tono sprezzante senza successo. Vidi un bagliore di rabbia attraversargli lo sguardo, ma poi cercò di contenersi.

«Mi avete abbandonato tutti...» mi spezzò il cuore.
«Ci hai messo in pericolo» lo interruppi, trattenendo la rabbia.
«...ma me lo sono meritato» concluse. Eccome se te lo sei meritato. Non dissi nulla, anche perché fummo interrotti dall'arrivo del cibo che avevamo ordinato e approfittai dell'occasione per prolungare il più possibile quel silenzio. Cercavo di godermi ogni boccone piccante, mentre Ed davanti a me si ingozzava ad una velocità quasi preoccupante.

LA's Devil - dicono che tu sia il diavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora