52. Come onde che tornano alla riva

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Avevo freddo.

I brividi mi punzecchiavano le piante dei piedi a contatto col pavimento. Mi rannicchiai sotto la coperta, il peluche a delfino accoccolato al petto. Le auto sfrecciavano sulla strada sotto di me.

Non potevo fare rumore, non adesso. Mamma, nella stanza accanto, avrebbe potuto sentirmi. La finestra aveva cigolato, poco prima, come succedeva sempre. Ma lei non era arrivata a costringermi a rientrare in casa. Forse era molto stanca. Affondai il viso nella stoffa pizzicante del delfino.

«Arriverà presto» sussurrai.

Nuvolette calde uscivano dalle mie labbra, ballandomi dinanzi agli occhi. L'ennesima auto si fermò; trattenni il respiro e mi sporsi per guardare oltre la ringhiera. Non era lui. Tornai indietro, triste. Ma non avrei ceduto, anche se il freddo aveva reso le dita dei piedi bianche come i sassi del fiume accanto a casa di nonna.

«Vedrai, arriverà presto» bisbigliai al delfino peluche. «Lo ha promesso»

Chiusi gli occhi, attendendo. Mi appoggiai col mento alle ginocchia, delfino accanto a me a guardarmi con gli occhietti enormi.

Mi svegliai di soprassalto quando la testa mi scivolò di lato. Non ero più sul pavimento ruvido della terrazza col pigiama stropicciato e umido.

«Delfino.»

Il bacio di mio padre fu un un sussulto al petto, un bocciolo di gioia.

«Papà.» Mi aggrappai a lui.

Si portò i miei palmi gelidi alle labbra e li tempestò di baci, ma gli angoli della bocca scivolarono verso il basso mentre la barba sulle guance mi pizzicava i polpastrelli.

«Papà, stai bene?»

Ogni briciolo di afflizione sua era anche mia.

«Delfino, sei gelata.»

«Ti aspettavo» sussurrai, dispiaciuta.

Accese la piccola luce in soggiorno, quella calda e soffusa accanto al divano, luminosa a sufficienza per rischiarare l'albero di Natale rivestito da mille palline colorate e i biscotti che ci avevo appeso sopra. Mi sporsi oltre le braccia di papà e mi allungai per accendere l'interruttore che avrebbe dato vita a quello spettacolo variopinto. Papà mi prevenne, facendolo al posto mio.

Poi mi adagiò sul divano, mi rincalzò le coperte lungo tutto il corpo, strappandomi un risolino divertito che svanì poco dopo... perché lui aveva ancora quel sorriso all'ingiù.

Si alzò e raggiunse i fornelli poco distanti.

«Papà?»

Ruotò il capo e mi guardò con quello sguardo strano che non capivo.

«Sei triste per colpa mia, papà?»

Scosse la testa. Mi raggiunse stringendo una tazza fumante tra le mani. Si inginocchiò, il suo volto vicino al mio, la mano libera a carezzarmi il capo.

«Delfino mio, come ti senti?»

«Benissimo!» sprizzai subito.

Era solo preoccupazione quella tristezza che gli aveva spento la felicità?

«Non è vero.» Mi rimproverò, porgendomi la tazza. «Quanto sei stata sulla terrazza ad aspettarmi?»

Strinsi il contenitore caldo tra le mani gelate; mi aiutò a sostenerla.

Black Moon ~ Figli della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora