ROMANCE
~sfumature Dark
~sfumature Thriller
A ventun anni Sam si sente sempre come la se stessa bambina: sola, diffidente nel fidarsi degli altri.
A ventiquattro anni Nicholas è tenuto alla larga da tutti come se fosse un cartello di pericolo, nero...
The creature lunged I turned and ran To save a life I didn't have
In the Woods Somewhere - Hozier
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Osservai il grosso fiocco di neve sdrucciolare nell'aria gelida fino a depositarsi sulla superficie dell'anfibio che indossavo. Era così freddo quella mattina che invece che sciogliersi, il fiocco rimase solidificato sulla superficie della mia scarpa.
Ero appoggiata con il fondoschiena alla portiera del guidatore, le mani affondate in modo generoso nelle tasche del giubbotto alla ricerca di tepore.
Eppure quel gelo lo accoglievo come un balsamo brutale ma necessario.
La mia mente, insaziabile, non si dava tregua.
Il susseguirsi di dubbi e immagini era così incorporeo da annebbiarmi i pensieri. La punta del naso stava perdendo sensibilità. Ogni anfratto sfuggente della mia mente era diventato un labirinto in cui non riuscivo più a ritrovarmi.
Sollevai l'anfibio destro, appoggiandolo sul sinistro. Accavallai le gambe per far sì che il peso rimanesse solo da un lato, quello non dolorante. La caviglia era gonfia come un palloncino.
Per fortuna mia madre era rincasata all'alba e, tra un sussurro sconnesso e l'altro, avevo inteso che potevo usare la macchina quel giorno.
Quella notte non avevo dormito molto; la luce sul comodino accesa e lo sguardo rivolto fuori dalla finestra.
Avevo ponderato l'idea di chiamare Ivan. All'alba avevo quasi rischiato di farlo per davvero. Non me ne importava un fico secco di quello che aveva detto mia madre e di tutti i rischi annessi, avevo bisogno di parlare con qualcuno di familiare che mi tranquillizzasse.
Ma non lo avevo fatto, perché il buon senso era una brutta bestia.
Così mi ero messa a cucinare dei biscotti al caffè, alle cinque di mattina. Avevo anche scritto la lista della spesa per la settimana seguente. Ma niente aveva funzionato.
Alla fine il dolore alla caviglia non era stato sufficiente a trattenermi a casa; ero entrata in vasca, in piscina, appena aveva aperto ai frequentatori.
Solo sott'acqua ero riuscita a racimolare i pezzi e pensare con lucidità.
Due cose sapevo per certo.
La prima: mi avevano aggredito al Wooden Bar.
La seconda: Nicholas Kayle Moon ce l'aveva con me non per motivi di carattere personale.
Ne sapevo anche una terza, con estrema certezza, ed era che la persona che mi aveva aggredito la sera precedente non era lui. Potevano però le due cose essere collegate tra di loro?
Più mi soffermavo su quell'idea e più mi convincevo che i due pezzi potessero appartenere allo stesso puzzle; le coincidenze di essere aggredita da due persone diverse nello stesso periodo della mia vita in ventun anni di pace, mi suggeriva che esistesse un nesso e che questo potesse essere il minimo comune denominatore.