26. Salvagente

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Release my soul,
carry me home

The Sweeplings - Carry me Home


Non c'era un solo pensiero che riuscivo a portare a conclusione. Ero un disco rotto, la puntina di un grammofono incastrata nella stessa scanalatura all'infinito.

Ero stata capace di evitare mia madre per quasi una settimana intera, nonostante i giorni passati a letto con l'influenza; un bel regalo da parte del lago ghiacciato. Cosa che avrei dovuto aspettarmi, in effetti. Almeno la caviglia aveva avuto modo di riposare e sgonfiarsi.

La confusione del Wooden Bar amplificò i miei neuroni in rotta di collisione. Volevo il silenzio, eppure non potevo sostenerlo. Senza distrazioni esterne, era la mia testa che governava.

Quello che era successo con Nicholas, in qualche modo, mi stava riportando la mente al perché eravamo scappate da Londra. Non volevo addentrarmi in quell'oscurità. Non ero in grado di fronteggiarla.

La testa mi vorticò, il capogiro mi risucchiò l'aria dai polmoni. Non potevo permettermelo, non sarei stata debole e fragile. L'avevo promesso.

«Hei, Rossa!» La voce di Trevor mi arpionò al suolo, alla realtà.

Lo intravidi nella sala del Wooden Bar; salutò un paio di ragazzi in fila al bancone con gesti sicuri e sciolti, poi si rivolse a me. «Sono felice che tu stia finalmente meglio.»

Deglutii un paio di volte, le vertigini che diminuivano via via che i miei sensi si focalizzavano su di lui. «Ciao, Trevor.»

«Febbre, raffreddore. Mi hai fatto preoccupare.» Mi sfiorò la guancia con le labbra, un'intimità che non si diede pena di mascherare.

«Non era niente di che.»

Mi scostò qualcosa che si era incastrato con le ciglia. Non ci fu niente di svelto e casuale in quel gesto.

«Sei stata malata per una settimana, certo che mi sono preoccupato. Cosa hai inventato per prenderti una tale influenza? Hai fatto il bagno nella neve?»

Più o meno. Per poco non caddero le bibite che reggevo al petto. Le appoggiai sul bancone, evitando disastri imminenti. Un groppo si formò dietro lo sterno, provai a ingoiarlo.

«Qualcosa non va?»

«No, no.» Non riuscii a guardarlo negli occhi, sprazzi di ciò che era avvenuto con Nicholas mi si erano incastrati dietro le pupille. «Sono ancora un po' debole.»

Un gruppo di ragazze alle spalle di Trevor lo mangiò con gli occhi, una di loro si era scordata di chiudere la bocca. C'era una statua in Italia con la stessa espressione. Mia nonna l'aveva definita grottesca all'epoca.

«Ah, Rossa, ma non c'è problema. Non importava darmi una scusa in più per prendermi cura di te.»

Il grumo in gola divenne rovente, bruciante, come lo era stato il mio corpo tra le dita di Nicholas. Scappai ancora dagli occhi troppo ammalianti di Trevor, mi concentrai sulle labbra spalancate della ragazza alle sue spalle.

«Tu chiedimelo e io esaudisco.» Mi guidò il mento verso l'alto, invitandomi a non scappargli. «Domani sera sono tuo, Rossa. Usami come preferisci.»

Le ultime parole si incastrarono nella carnosità umida della sua bocca. Significati sensuali mi annebbiarono il respiro; altre labbra mi offuscarono i pensieri.

Maledizione.

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Black Moon ~ Figli della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora