10 - Un salmone con un neo

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10 - Un salmone con un neo

Il Ronald Reagan National Airport aveva una torre di controllo spaziale neanche fosse stato una base di lancio NASA. Per essere uno degli aeroporti minori di Washington D.C. era piuttosto enorme. Leo non aveva poi una così grande esperienza di aeroporti, quindi non sapeva ancora che quel posto, per un figlio di Efesto come lui, era un immenso parco giochi. Il rumore degli aerei sopra la testa gli fece alzare il naso all'insù l'attimo prima di entrare per le porte a vetri automatiche dei voli in partenza. ― O zeu kai alloi theoi ― si lasciò sfuggire in greco antico. Pip gli lanciò un sorriso. Ma l'entusiasmo di entrambi si spense subito, alla percezione di un'assenza importante. Quella di Jason. 

Leo si mise letteralmente le mani tra i capelli, e ruotando su se stesso prese a cercare Jason tra la piccola folla di viaggiatori serali. Con i suoi super poteri volanti, il figlio di Giove doveva già essere arrivato da un pezzo. Mentre Leo e Pip erano rimasti incastrati nel traffico stradale, Jason doveva aver volato rapido e incontrastato nell'aria rarefatta dai gas di scarico delle automobili. Forse gli si erano sgualciti i capelli e nell'attesa si era rintanato in un bagno per improvvisare una messimpiega con il getto d'aria calda asciuga-mani. O forse la corsa aerea gli aveva fatto venire fame e si stava sfondando di brownies nello Starbucks oltre i metal detector. Oppure ancora stava facendo un riposino nello sgabuzzino dei Mocio Vileda. Insomma, di ipotesi Leo ne aveva a bizzeffe. Lanciò un'occhiata a Pip, per capire cosa ne pensava lei. Aveva il nome di Jason scritto a caratteri cubitali e lampeggianti negli occhi caleidoscopici, come una specie di allarme antincendio impazzito, ma cercava di avere un'aria tranquilla. ― Pensi che dovremmo cercarlo? ― chiese Leo. 

Piper mandò fuori un bel respiro. ― Sarà qui nei paraggi. Intanto scopriamo qual è il primo volo per Charlotte e compriamo i biglietti.

Era una specie di piano, perciò Leo fu d'accordo. Sì, era un fan dell'improvvisazione, ma avere una linea d'azione ben scaglionata in momenti di forte auto-critica (e auto-commiserazione) com'era quello, lo faceva sentire al sicuro. Voleva solo mettere piede su quel dannato aereo e dormire per qualche ora... Dimenticare Thalia. Dimenticare il piccolo Abel. Dimenticare l'Argo II. Dimenticare Percy Jackson.

Si scosse, sentendosi in colpa solo per aver pensato cose tanto stupide. Dimenticare non sarebbe stata la soluzione, ma solo un'altra vigliaccata, come le bugie che aveva raccontato a Jason. E Leo voleva essere migliore di così. Voleva imparare ad affrontare quello che andava affrontato, con il coraggio che aveva a disposizione. Avrebbe dormito sull'aereo, ma nel sonno avrebbe elaborato coordinate, piani d'azione e attacchi di lotta strategici. Come una macchina, il suo cervello avrebbe tenuto attivi i meccanismi elementari che lo tenevano insieme.

Il volo serale per Charlotte era solo uno, quello delle 23:20. C'era ancora un po' di tempo per trovare Jason. E dovevano trovarlo. Non avevano scelta. Non potevano permettersi un ritardo di un'intera giornata sulla tabella di marcia; perciò acquistarono tre biglietti, due menù pop-corn caramellati maxi e... ah, no. Non erano al cinema. Tre biglietti e basta. E senza la lingua ammaliatrice di Piper probabilmente non avrebbero ottenuto nemmeno quelli, dato che la legge di nessuno degli stati dell'America del nord permetteva a tre adolescenti di viaggiare da soli. 

Non restava che recuperare Jason. L'unico piano che aveva Leo al riguardo era mettersi a girare per l'aeroporto gridando a squarciagola il nome dell'amico, o qualcosa come "Piper! Smettila di guardare il fondoschiena di tutti i ragazzi che ti passano davanti!". Poteva funzionare, no? Ma proprio quando Leo stava per prendere fiato e mettersi ad urlare come un folle, un tizio avvolto in un asciugamano da sauna gli rubò l'idea, piombando sulla scena a bordo di un carretto trascinato da quattro pony e gridando: ― BOOOM! STOOOMP! SDRA-DA-DA-TUMMM!

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