24 Dicembre
-Harry-
«Posso sapere cos'è successo?»
«No, Gem. E' tutto troppo assurdo.» Harry sbuffò, sistemandosi i capelli allo specchio, nel suo bagno.
«Cos'hai fatto?» Gemma incrociò le braccia al petto ed alzò un sopracciglio, sospettosa.
«Niente, dannazione!» Un clacson bloccò il ragazzo prima che potesse imprecare ulteriormente.
«Perchè diavolo suonano il clacson invece di bussare, se cercano qualcuno?» Urlò Anne dal piano inferiore.
«Cercano me!» Gridò Harry in risposta e scese le scale, lasciando la sorella impietrita contro lo stipite della porta. Uscì velocemente di casa, allacciandosi i bottoni del cappotto strada facendo e sorrise ai finestrini oscurati del grande SUV fermo poco più avanti di casa sua, consapevole di chi fosse a bordo. Quella faccenda andava risolta al più presto. Aprì lo sportello e due dolci occhi nocciola lo spiarono sotto lunghe ciglia.
«Finalmente.» Disse quella creatura divina sorridendo leggermente.
-Louis-
«Louis?» Jay battè più forte sulla porta, nel vano tentativo di farsi aprire, ma anche quella volta fallì. «Okay, Raperonzolo. Cosa facciamo? Non hai intenzione di uscire nemmeno oggi?» La donna esasperata picchiò contro la porta, questa volta con i palmi. Louis rabbrividì, e chiuse gli occhi, cercando di non ascoltarla. Da quando Harry era andato via, non proprio di sua volontà, la porta della sua stanza era rimasta chiusa. Non aveva toccato cibo da allora e non intendeva farlo. Il suo compleanno era arrivato e stava andando avanti come uno dei giorni peggiori della sua vita. Erano le nove del mattino, sua madre batteva senza sosta contro la porta urlando come un'ossessa, le sue sorelle pensavano fosse diventato pazzo, i vicini avrebbero chiamato la polizia di lì a poco e...il Natale era rovinato. L'unica cosa che lui davvero amava da sempre era proprio quella festa, ma in quel momento gli parve tanto insignificante da dimenticarne anche i motivi.
«Louis William Tomlinson!» Sua madre urlò più forte, pronunciando il suo nome completo: non presagiva nulla di buono. «Mi costringi a chiamare i vigili del fuoco», borbottò lei allontanandosi dalla porta. Louis alzò lo sguardo sulla porta e sentì un moto di compassione nei confronti di sua madre. L'aveva esclusa ingiustamente dalla sua vita, non permettendole di far nulla per lui. Si alzò senza forze dal letto e, una volta arrivato alla porta, fece girare la chiave nella serratura, lasciando che si aprisse. Immediatamente la maniglia di abbassò e sua madre gli fu addosso. Lo strinse come una creatura spaventata, come un essere incapace di difendersi. «Oh, il mio bambino!» La sua voce tremò e le lacrime le rigarono le guance. Louis, però, fu incapace di reagire. La allontanò leggermente, tornando a sedersi sul letto e lei lo seguì silenziosamente. Si posizionò a qualche centimetro dal figlio, osservandolo con aria truce e poi parlò: «Dov'è lui?»
Louis alzò lo sguardo dalle lenzuola, lo fece correre da sua madre alla scrivania più volte e lo riportò dov'era inizialmente. La donna comprese ed andò a cercare qualcosa dove lui le aveva indicato. «Questo?» Domandò sollevando il foglietto ripiegato. Louis annuì.
«Tienilo tu e, se vuoi, spiegami.» Gli porse il bigliettino e Louis lo aprì, facendole leggere cosa c'era scritto. Le lacrime corsero veloci sul suo viso, mentre tentava di raccontarle cosa fosse accaduto quella notte. Johannah lo stinse, provando una fitta al cuore al solo pensiero che suo figlio fosse stato illuso in quel modo. Il loro abbraccio venne interrotto dal suono sordo di qualcuno che bussava alla loro porta.
«Lottie?» Urlò Jay per richiamare l'attenzione della figlia maggiore nella stanza accanto.
«Sì?»