Capitolo 4 - Brutte sorprese

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Ottobre.

In quelle settimane, Napoli emanava qualcosa di magico. Adoravo svegliarmi al mattino con il profumo di brioche appena sfornate, provenienti dalla panetteria nella mia via. Adoravo svegliarmi con il raggio di sole che entrava nella stanza, rendeva l'atmosfera lucente e avvolgente. Mi sentivo finalmente felice di aver ripreso la mia vita in mano e sentivo che le cose sarebbero migliorate. Una mattina mi svegliai particolarmente felice, per colazione prendevo caffè e spesso un babà comprato la sera prima con un succo di frutta. Era la stessa colazione che mi ero preparata anche per quel lunedì mattina, per iniziare bene la giornata. La consapevolezza di essere in ritardo, una costante nella mia vita, mi fece sbrigare.

Erano già le otto e dovevo ancora vestirmi, così scelsi a caso dei jeans (tra l'altro i miei preferiti) e una maglietta gialla (a Napoli in quel periodo si stava ancora bene). Zaino in spalle e via verso la porta di casa. Solo che, una volta aperta, rimasi sbalordita dalla visione che mi si presentò davanti. Non avrei mai immaginato di trovare mia madre. Mi fissava quasi timorosa. Era vestita molto elegante con un tailleur nero, indossava tacchi a spillo e in mano stringeva nervosamente una piccola pochette. L'unica cosa carina che riuscii a dire fu «Che ci fai qui?» «Luce!» mi abbracciò falsamente come fanno i parenti il giorno di Natale «come stai bambina? È da tempo che non ci vediamo e ho pensato di farti una sorpresa, contenta?» sorrise, ritrovando un po' di compostezza. 

Sinceramente non sapevo che cosa dire, ero imbarazzata, scocciata e non avevo assolutamente intenzione di parlare con lei e per giunta... ero pure in ritardo! «Quando sei arrivata?» chiesi frettolosamente «Ieri sera sono passata, ma tu non c'eri...hai già trovato un fidanzatino?» disse con una punta di malizia ma la ignorai. 

«E quanto resti» 

«È così che accogli tua madre?! Ho fatto un lungo viaggio da Bologna ed è questo il ringraziamento?» si arrabbiò. In quel momento misi da parte l'astio e pensai che mio padre non avrebbe gradito il mio atteggiamento. Immaginai la sua mano grande toccarmi la spalla per contenermi.

«Prego, siediti...caffè?» «Si, grazie! A che ore inizi scuola oggi?» mi chiese entrando come una furia in casa mia. 

«Veramente è già iniziata ma entrerò dopo». Le passai la tazza di caffè e mentre sorseggiava, si mise ad osservare la stanza come un critico farebbe davanti a un'opera d'arte «È una bella casa, ben decorata. Tuo padre sarebbe stato fiero di te». Odiavo quando lo nominava perché per come si era comportata nei suoi confronti, non avrebbe dovuto nemmeno permettersi di pronunciare il suo nome. Cercai di calmarmi per non far esplodere la rabbia repressa e strinsi il pugno destro così forte che le unghie ferirono l'interno della mia mano.

«Ecco, tieni. Allora che mi dici? Ti vedo vestita bene, nuovo spasimante?» le feci notare con una punta di acidità «No tesoro, è merito del mio nuovo lavoro!» «Ah, perché tu lavori?» dissi nel medesimo tono «Non essere insolente, ho sempre lavorato!» «Papà ha sempre lavorato, non tu di certo. Eri troppo impegnata a tradirlo!» sbottai «Io non ho mai tradito tuo padre!» rispose con altrettanta ira.

Scossa da quella frase, la conversazione venne interrotta da una chiamata sul cellulare.

«Pronto» «La Signorina Luce?»

 «Si, sono io. Chi parla?» 

«Chiamo dalla segreteria della scuola, ci siamo chiesti della sua assenza, sta male?» 

«No, al contrario, ho avuto un imprevisto familiare ma ora arrivo, la ringrazio». Presi di corsa la borsa e uscii, senza salutare mia madre.

Erano già le nove passate, quando mi ritrovai a varcare la soglia di entrata della scuola. Avevo perso l'ora di Italiano. Il professore, dopo il nostro incontro al pub, spesso mi rivolgeva lo sguardo in classe. Quando parlavamo utilizzava lo stesso tono professionale usato per gli altri miei compagni, tranne quando mi interrogava. Con me era davvero una furia. Si preoccupava di riservarmi le domande più difficili, oserei dire bastarde... si vedeva benissimo che ai fini della valutazione mi riservava un "trattamento speciale" che mi costava ore e ore di preparazione e una certa ansia mattutina ma fino ad ora avevo sempre vinto io. Mi chiedevo perché avesse la capacità di salvarmi dal branco di leoni e poi diventare lui stesso mio predatore. Arrivata davanti la porta della classe, aspettai che la Professoressa Zambone, docente di matematica, entrasse in aula, in modo da seguirla. L'insegnante si presentava come una nonna dolce e gentile. Aveva sui 65 anni ed era molto brava con noi studenti, direi paziente. Nonostante la sua gentilezza, di prima impatto dava l'aria di una donna regale. Ci teneva molto al suo aspetto, infatti, teneva i capelli molto curati. Si tingeva le labbra con un rossetto fucsia, un velo di mascara, una camicia e una gonna lunga sempre abbinati.

Nel cuore di entrambi: il filo rossoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora