CAPITOLO 1

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 "Mi conosce, capitano Wilson, se non fosse davvero importante non sarei mai venuto fin qui a chiedere il suo aiuto. Ma abbiamo investito tanto in questa indagine, lei lo sa bene, e ora che finalmente siamo giunti al processo, non posso permettere che tutto venga gettato alle ortiche."

"La capisco generale, dico sul serio, ma io, ormai, non appartengo più a quel mondo. Sono cinque anni che ne ho preso le distanze e ho giurato a me stesso che non sarei più tornato indietro."

Il generale Carter, un uomo sulla sessantina piuttosto corpulento, guardò attentamente Dave e dopo un attimo di riflessione parlò nuovamente.

"So quello che è accaduto e so anche che si sente responsabile, ma non deve. Il nostro mestiere comporta dei rischi..."

"Quello che lei chiama rischio poteva essere evitato" lo interruppe Dave accalorandosi "se solo io avessi seguito il mio istinto invece di ubbidire a un ordine che sapevo essere sbagliato... E lei lo sa bene."

"Lei ha solo seguito la procedura" insistette ancora il generale.

"Già, la procedura... E questo ha portato alla morte della ragazza" concluse amareggiato Dave.

Il generale Carter sospirò. In cuor suo sapeva che Dave aveva ragione, ma il suo ruolo non gli permetteva di ammetterlo. Per quanto riprovevole, doveva salvare le apparenze e coprire gli errori dei suoi uomini, quando questo era possibile.

Dave, però, era diverso. Per lui una cosa era giusta o sbagliata, bianca o nera e proprio questa convinzione lo aveva spinto a diventare un agente dell'FBI. Credeva fermamente nella legge e nella giustizia, che considerava i soli strumenti utili per combattere il male dilagante nella società.

Certo nella vita si potevano commettere anche degli sbagli, ma bisognava avere il coraggio di riconoscerli e di pagarne le conseguenze, per quanto care potessero essere.

Quell'errore, invece, che era costato una giovane vita era stato insabbiato e l'unica cosa che lui aveva potuto fare era stata andarsene. Opporsi non sarebbe servito a niente, perché avrebbe avuto tutti contro: i suoi colleghi, i suoi superiori, l'intero sistema e la sua sarebbe rimasta una voce isolata che nessuno avrebbe ascoltato.

Non era fiero del suo comportamento, ma, almeno, aveva cercato di salvare il salvabile: la sua integrità. Se si fosse "girato dall'altra parte" quella prima volta, lo avrebbe dovuto fare anche in seguito, fingendo di non vedere, e allora sì che avrebbe perso la stima in se stesso.

"Capitano Wilson" riprese il generale "glielo chiedo come favore personale: accetti quest'incarico. Verrà reintegrato con lo stesso grado, lavorerà da solo e avrà carta bianca. Nessuno potrà dirle cosa o come fare. Riferirà solo a me... Non lasci che la morte di quella povera ragazza sia stata vana!"

Il generale Carter non mollava la presa e la sua ultima osservazione colpì Dave, che rispose: "D'accordo, ci penserò, anche se non capisco perché io... "

"Foster è stato categorico su questo punto" spiegò il generale "presenzierà al processo solo se sarà lei a proteggere sua figlia. Il motivo non lo conosco, ma la sua testimonianza è fondamentale per mandare in prigione quei bastardi e porre fine al loro impero."

Seguì un attimo di silenzio durante il quale i due uomini si scrutarono a vicenda; l'uno sicuro di aver ottenuto quello che voleva, l'altro consapevole che avrebbe ceduto.

"Mi dia quarantotto ore di tempo per rifletterci, generale" disse alla fine Dave.

Il generale Carter, cercando di nascondere un sorriso di soddisfazione, replicò: "E' quello che volevo sentirle dire, capitano. Ci pensi su con calma e poi mi faccia sapere" concluse porgendogli un biglietto con un numero di telefono. "Qui mi può trovare in ogni momento, giorno e notte... Grazie" aggiunse stringendogli la mano.

Rimasto solo, Dave si recò in cucina per prepararsi una tazza di tè e mentre aspettava che l'acqua bollisse, si perse a osservare la propria immagine riflessa nell'anta di vetro dell'armadietto posto sopra il fornello.

In quegli ultimi anni era cambiato: i folti capelli neri, che prima portava cortissimi, erano cresciuti, come la barba, conferendogli una falsa aria trasandata e facendolo apparire leggermente più vecchio dei suoi trentacinque anni. I duri allenamenti a cui si era sottoposto per entrare a far parte del Gruppo Speciale d'Intervento dell'FBI e che ancora praticava per passione, unitamente al suo amore per la vita all'aria aperta, lo avevano portato ad avere un fisico forte e statuario senza risultare eccessivo. Profondi occhi neri e un sorriso sincero completavano il quadro, facendo di lui un uomo decisamente attraente.

I cambiamenti maggiori, però, erano quelli avvenuti dentro di lui e quelli, pensò, mentre distoglieva lo sguardo, erano i più difficili da accettare.

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Alla guida della sua auto il generale Carter ripensava all'incontro appena avuto con Dave.

Stimava quell'uomo e il suo congedo prematuro era stata una grande perdita per l'intera squadra.

L'aveva seguito attentamente fin dal suo ingresso nel corpo speciale, anzi, era stato proprio lui a volerlo e a caldeggiare la sua nomina.

In lui aveva riconosciuto la stessa determinazione, disciplina, lo stesso senso di giustizia e patriottismo che avevano spinto lui stesso, tanti anni prima, a diventare un agente. Ricordava con nostalgia quei tempi. Aveva creduto veramente di poter cambiare il mondo, di poterlo rendere migliore, estirpando ciò che era malato e sbagliato. Ma pian piano, aveva dovuto ricredersi: la sua era una battaglia persa. Per ogni criminale che riusciva a catturare e garantire alla giustizia, ce n'era sempre un altro pronto a prendere il suo posto.

Aveva imparato che l'uomo è debole, corruttibile e cede facilmente al miraggio dei facili guadagni, al fascino del potere, finendo col trovarsi invischiato in giochi più grandi di lui e impossibilitato a uscirne. Quando, poi, aveva iniziato a far carriera quel perfido ingranaggio era diventato sempre più chiaro ai suoi occhi, ma suo malgrado aveva finito con l'adeguarvisi.

Dave, però, era diverso e lo aveva dimostrato rifiutandosi di aderire a quel sistema: non aveva chinato la testa, ma a testa alta se n'era andato.

Il generale Carter sperava di essere riuscito a persuaderlo ad aiutarlo. La testimonianza di Foster al processo sarebbe stata la carta vincente, l'asso nella manica per porre fine all'impero che i Castillo avevano costruito grazie alla corruzione, all'usura, al traffico di droga e armi e lui, finalmente, avrebbe potuto andare in pensione con la consolazione di essere riuscito a fare qualcosa di buono.

Tutto, però, dipendeva dalla risposta che avrebbe dato Dave.

Presto, si disse il generale, avrebbe scoperto se su di lui si era sbagliato oppure no!

IDENTITA' NEGATADove le storie prendono vita. Scoprilo ora