Capitolo 50

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Quando Emily e Dave rientrarono, trovarono Margaret e Tommy in giardino. Il piccolo si divertiva a rincorrere a carponi una palla che, ogni volta, sfuggiva alla presa delle sue piccole mani rotolando via. Si fermarono un attimo a osservarlo: Dave incitandolo a riprovare, Emily chiedendosi se avrebbe mai ritrovato dentro di sé l'istinto materno.

"Vieni ti faccio vedere la nostra, cioè la tua stanza... Immagino che sarai stanca" le disse, precedendola verso l'interno e guidandola verso la camera da letto.

Attraversando il piccolo soggiorno, Emily non poté fare a meno di notare il porticato che era stato trasformato in una specie di veranda con delle pareti in vetro scorrevoli. Era un angolo molto luminoso che si affacciava direttamente sul giardino, ma quello che attirò la sua attenzione fu il contenuto. C'erano cavalletti da pittore, colori, pennelli, tele e album da disegno, tutto il necessario per dare forma e vita alla creatività di un artista. Si avvicinò e rivolgendosi a Dave chiese: "Disegni?"

"Oh no, no! Non sono io a disegnare ma tu... Lo hai sempre fatto. Prima che nascesse Tommy la sua stanza era il tuo studio, poi abbiamo deciso di attrezzare quest'area..."

Emily entrò e con mani tremanti accarezzò ogni cosa. Come le era capitato quando erano arrivati al cottage, qualche ora prima, pur non ricordando nulla di specifico, sentì una profonda emozione attraversarla e percepì una sensazione di benessere impossessarsi di lei. Su un tavolo erano appoggiati diversi schizzi e altri, incorniciati, erano addossati alle pareti. Uno di questi attirò la sua attenzione: due mani intrecciate... Guardò sorpresa Dave e si portò una mano al collo in attesa di una spiegazione.

"Lo hai disegnato tu... Sono le nostre mani e per il nostro matrimonio ho fatto realizzare quel ciondolo, per ricordarti la promessa che ti ho fatto quando ci siamo sposati: di non lasciare mai più la tua mano..."

"E io cosa ti ho regalato?"

"Tu portavi in grembo nostro figlio e io non potevo desiderare nulla di più bello..."

"Mi dispiace Dave, mi dispiace davvero..."

"Shh, basta Emily! Quello che adesso conta è che tu sia qui..."

Quando raggiunsero la camera si fermò sulla suglia. Non le era nemmeno passato per la mente che avrebbero dormito insieme, dal momento che erano moglie e marito, e fu colta da un imbarazzante senso di pudore. Cominciò a spostare il peso del corpo da un piede all'altro, a disagio, alternando lo sguardo dal letto matrimoniale a Dave, che la stava osservando.

"Dormirò sul divano, se è questo che ti preoccupa" la rassicurò. "Non so che idea tu ti sia fatta di me, dopo tutto quello che ti ha raccontato Andrew, ma non ti costringerei mai a fare qualcosa contro la tua volontà... Speravo lo avessi capito" aggiunse, leggermente risentito, prima di lasciarla sola.

Lei fu tentata di richiamarlo per scusarsi, ma cosa poteva dirgli dal momento che aveva ragione?

Per mesi le avevano detto che era violento con lei, che spesso la picchiava, che era ossessivamente geloso, al punto da non volere che uscisse da sola e ora lei aveva paura, ancora non si fidava nonostante lui fosse sempre stato corretto e gentile.

Prima, sulla spiaggia, non sapeva bene neppure lei cosa fosse successo. Guardandolo piangere e ascoltando le sue parole, intrise di rabbia e dolore, era entrata come in trance; si era sentita in simbiosi con lui, in quella disperazione aveva riconosciuto la sua stessa disperazione, in quel grido d'aiuto aveva colto il suo stesso bisogno di essere aiutata e allora avvicinarsi a lui era stato naturale, spontaneo, ma ora il suo cuore, che aveva assaporato un soffio di vita, era di nuovo spento, anestetizzato e lei si sentiva impotente.

Un paio di giorni dopo il ritorno a casa di Emily, Dave riprese a lavorare.

Non fu una decisione facile per lui, che avrebbe voluto rimanerle accanto per aiutarla, ma lei non volle sentire ragioni.

"Ti prego, non trattarmi come un'invalida e poi c'è tua madre che mi darà una mano" gli disse per tranquillizzarlo, anche se la vera ragione era che aveva l'impressione di essere costantemente controllata e questo la faceva impazzire.

"D'accordo, ma a una condizione..." acconsentì alla fine Dave.

"E sarebbe?"

"Voglio che tu abbia sempre il telefono con te e che mi risponda quando ti chiamo."

"D'accordo!"

Sentirsi almeno un paio di volte al giorno divenne ben presto una piacevole abitudine per entrambi. In realtà non si dicevano molto: un semplice saluto, un "come stai" e "cosa stai facendo", ma era sufficiente per sapere di essere l'una nei pensieri dell'altro. Poco a poco Emily riprese anche a disegnare, e si sorprese di come la sua mano riuscisse, con estrema facilità, a trasferire sulla carta o sulla tela quello che vedevano i suoi occhi o immaginava la sua mente.

Era come se fosse dotata di vita propria: sapeva esattamente quali colori scegliere e come diluirli, quali pennelli o matite era meglio usare o che tipo di carta meglio si adattava a essi. Insomma, non ricordava, eppure tutti quei gesti erano, in qualche modo, incisi dentro di lei.

L'unica cosa che non riusciva a fare era avvicinarsi a suo figlio. Non che non lo desiderasse: amava guardarlo giocare o dormire sereno, chiedendosi quali sogni facesse, ma abbracciarlo e stringerlo al petto erano gesti che la terrorizzavano e se ne vergognava profondamente perché sapeva essere un comportamento indegno per una madre. Era come se una parte di lei rifiutasse quel ruolo e a nulla valevano le braccia tese a cercarla, gli occhioni che la osservavano curiosi o i pianti disperati; doveva sempre intervenire Margaret a risolvere il problema perché lei rimaneva inerme, inebetita, come se a un tratto ogni capacità d'intendere e volere l'abbandonasse.

Quell'atteggiamento non passò inosservato e Dave, una sera, si confidò con Jane, che era passata ad aggiornarlo sulle indagini riguardanti Andrew Castillo e la sua donna.

"Come vanno le cose?" gli chiese mentre erano seduti in giardino.

Lui sospirò e si prese un attimo prima di rispondere.

"Fisicamente Emily sta recuperando bene: ogni giorno diventa sempre più forte... ma psicologicamente non so proprio cosa dirti. Ancora non ricorda nulla e io comincio a chiedermi se lo voglia veramente o se, invece, non preferisca continuare a vivere in questa specie di limbo che la separa dal mondo e dalle sue responsabilità di moglie e madre..."

"Non crederai che lo faccia di proposito?!"

"Non dico questo, ma da quando è tornata non ha fatto nulla per riavvicinarsi a me o al bambino... come se non le importasse ... La verità è che ho paura di non ritrovarla più e io non sono sicuro di riuscirla ad amare come prima... E' una cosa orribile da dire, anche solo da pensare, lo so, ma è quello che provo."

Jane si protese verso di lui prendendogli le mani tra le sue in un gesto di conforto, e disse: "Sei umano Dave e quelli che provi sono sentimenti umani, imperfetti, sbagliati, ma umani e non puoi fartene una colpa. Nessuno può chiederti di essere forte per entrambi all'infinito, hai tutto il diritto di essere felice e anche Tommy ce l'ha..."

"Cosa intendi?"

"Dalle ancora un po' di tempo, ma se non cambia nulla... bé allora è giusto che tu le parli e le dica quello che senti..."

IDENTITA' NEGATADove le storie prendono vita. Scoprilo ora