CAPITOLO 13

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 Il generale Carter era preoccupato.

Dalle testimonianze e dagli atti processuali erano emerse delle incongruenze sul rapimento di Susan. Erano solo dei piccoli particolari ma a lui erano bastati perché il dubbio e il sospetto si insinuassero nella sua mente. Aveva anni di esperienza alle spalle, prima nella polizia e poi nell'FBI e aveva imparato che, spesso, niente è come sembra e che nessuno merita la nostra totale fiducia.

Il capitano Wilson era stata, forse, la sola persona per la quale lui avrebbe messo la mano sul fuoco e, ora, si sta stava domandando se si fosse sbagliato.

Se fosse stato così voleva dire che Emily era in pericolo e, dannazione, lui non sapeva dove diamine fosse.

Quando Dave lo chiamava utilizzava dei cellulari usa e getta e aveva l'accortezza di agganciarsi sempre a celle telefoniche diverse, in modo che rintracciare le chiamate diventava praticamente impossibile. Lui diceva che andava tutto bene, che la ragazza stava bene, ma era la verità?

In fondo, il generale non aveva mai parlato con lei e non ne aveva nemmeno mai sentito la voce in sottofondo; non aveva in sostanza nessuna prova che fosse ancora viva!

Durante il processo, che doveva portare anche alla condanna degli assassini di Susan Foster, era stato dimostrato che l'autorizzazione per intervenire nella casa, dove la giovane era tenuta prigioniera, era partita alle 17.00 mentre Wilson aveva sempre negato di averla ricevuta e di aver agito di sua iniziativa quando aveva udito lo sparo alle 17.03.

Chi mentiva? E perché?

C'era poi un'altra cosa strana: Wilson sosteneva di aver sentito un colpo di pistola provenire dall'interno della casa e di aver trovato Susan in fin di vita subito dopo, ma di non aver visto nessuno fuggire. L'unica cosa che aveva notato era stata una finestra spalancata ma gli altri ragazzi della squadra, appostati all'esterno, non avevano visto uscire nessuno.

Carter aveva sempre creduto a quello che Dave aveva detto e cioè che l'ordine d'irruzione non fosse arrivato, o fosse arrivato tardi, che fosse stato sprecato del tempo prezioso, ma ora le prove dimostravano il contrario e cioè, che colui che aveva perso tempo era stato proprio il capitano Wilson. A questo bisognava aggiungere il fatto che, subito dopo, si era dimesso proprio come se avesse qualcosa da nascondere.

Con un sospiro il generale Carter chiuse il fascicolo, dopo averlo letto per la centesima volta in cerca di una risposta che non riusciva a trovare e si convinse che l'unica persona, che forse poteva aiutarlo a fare chiarezza su Dave, era Aaron Foster.

Aveva condizionato la sua testimonianza al processo, al fatto che fosse lui e solamente lui a proteggere sua figlia Emily. Perché? Cosa sapeva che lui ignorava? Più ci pensava più si convinceva che Foster fosse a conoscenza di qualcosa di estremamente importante e presto, si disse, lo avrebbe scoperto!

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Aaron Foster aspettava da mesi quel momento, quando finalmente avrebbe potuto dire la verità, tutta la verità sulla provenienza di quel denaro che lo aveva salvato dalla bancarotta, ma lo aveva incatenato a un mondo di corruzione, ricatti, immoralità. Aveva capito presto con chi aveva a che fare e aveva cominciato a tutelarsi, raccogliendo prove che un giorno avrebbero potuto tornargli utili. All'inizio non aveva considerato di servirsene a un processo, ma dopo la morte di Susan vendicarsi era diventato il suo unico obiettivo. Certo, avrebbe potuto farlo con i loro "metodi", ma Aaron non era mai stato un tipo violento e non sarebbe mai stato capace di uccidere o di ordinare ad altri di farlo, senza contare il fatto che questo non avrebbe colpito il cuore dell'organizzazione. Lui invece voleva minarne le fondamenta e farla crollare come un castello di carte.

Così aveva pazientato, aspettando che l'FBI indagasse e traesse le sue conclusioni.

Molte verità erano venute a galla, ma non tutte, per questo la testimonianza di Foster era fondamentale, per far luce su alcuni aspetti ancora poco chiari e chiudere il cerchio.

Uno di quegli aspetti era la morte di Susan. Aaron sapeva perfettamente chi aveva ordinato il rapimento e poi l'uccisione della figlia, ma su chi l'avesse realmente compiuta aveva solo dei sospetti e forse con la visita del generale Carter sarebbe riuscito a sapere se fossero fondati oppure no.

"Generale non so se sentirmi preoccupato o lusingato per la sua venuta fin qui" lo salutò.

"Foster non creda che questa sia una visita di cortesia."

"Capisco! Bé se è cosi direi di andare dritti al punto. Mi dica, cosa posso fare per lei?"

"Perché ha voluto a tutti i costi che fosse il capitano Wilson a proteggere Emily durante il processo?"

"Perché non lui generale?"

Carter non rispose subito. Intuì che Aaron era sulla difensiva e che non avrebbe rivelato nulla se non fosse stato lui, per primo a scoprire le carte in tavola. Così decise di rischiare: "Dalle testimonianze raccolte pare che ci sia una contraddizione in quello che il capitano Wilson ha dichiarato. Lui sostiene che l'ordine di fare irruzione nel luogo dove si trovava Susan non sia mai arrivato..."

"E lei non gli crede?"

"Quello che credo io non ha importanza, ma se lui ha mentito Emily è in grave pericolo..."

"Emily non potrebbe essere più al sicuro... Lei fa bene ad avere dei sospetti generale Carter, ma non sul capitano... "

"Perché ne è così certo?"

"Perché se fosse stato lui a premere il grilletto non sarebbe venuto al funerale e non lascerebbe mai, a ogni anniversario, un mazzo di fiori sulla tomba di mia figlia... L'unica accusa che si può muovere a Wilson è quella di non aver voluto o potuto andare in fondo alla cosa, ma io l'ho fatto..."

"E cosa ha scoperto?"

"Che quando il male viene da dentro è come un cancro, che silenziosamente si espande a tutti gli organi e più il tempo passa più difficile diventa estirparlo..."

"Non la seguo."

"La corruzione è ovunque generale, anche nell'FBI... anche tra i suoi uomini!"

Carter non replicò, ma attese che l'altro continuasse.

"Pensavano che sequestrando mia figlia, io avrei taciuto, ma non è successo. Allora hanno deciso di ucciderla, ma così facendo hanno solo aumentato la mia sete di vendetta. Io non so chi ha sparato quel dannato colpo, ma so che non è stato Wilson. Spetta a lei generale scoprire chi!"

Se aveva sperato in un nome, il generale Carter rimase deluso, ma doveva ammettere che quello che aveva appreso da Aaron Foster gettava una nuova luce su tutta la faccenda. Lui sosteneva che Wilson fosse innocente, anche se il colpevole andava comunque cercato tra gli agenti dell'FBI.

Doveva credergli? Sì, si disse. Non c'era alcun motivo per mentire. Aaron Foster era ormai un uomo finito e per quanti errori avesse fatto era pur sempre un padre!

Adesso doveva solo attendere che Dave lo chiamasse per parlare con lui e pregò Dio che lo facesse in fretta.

IDENTITA' NEGATADove le storie prendono vita. Scoprilo ora